Silvia Veronese ComVnica
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Silvia Veronese ComVnica

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16Apr

Asfodelo e il cappello di paglia

16 Aprile 2020 silvia Racconti 103

Racconti

Asfodelo. Chi guarda all’esterno sogna, chi guarda all’interno si risveglia. Cosa avrà mai voluto dirmi il vecchio professore mago, senza cappello in testa, senza bacchetta di legno di agrifoglio, con la sua voce molto baritonale e lo sguardo indagatore?

C’è una grande differenza tra sognare e risvegliarsi. A meno che non si faccia a occhi aperti, sognare è un’attività attribuita allo stato di non veglia. Risvegliarsi indica non il passaggio da uno stato di sonno a quello di veglia, ma fa riferimento a una ri-nascita.

Da giorni sondo nel fondale del mio io e non è che ci trovo un gran che da fare. Mi manca molto il mio rifugiarmi nel bello dell’arte. Soffro di anoressia di immaginazione, di mancanza di serotonina, quell’ormone che predispone al buon umore e alla gioia.

Così, senza capire perché, ma facendolo solo per regalarmi un momento di libertà senza vincoli di razionalità, costume, cultura, posizione da preservare, ho richiamato il mio io essenziale, quello che non vogliamo far vedere a nessuno, quello sommerso da una coltre di cenere di anni di indifferenza da parte nostra e gli ho chiesto udienza. Ho avvisato il mio io intermedio, quello che di noi non vogliamo far vedere agli altri, di togliersi il mantello dell’invisibilità. Infine, ho parlato all’io di superfice, quello che recita una parte a seconda delle circostanze, quello che finge di essere, quello che recita di fronte agli altri, di tacersi per un bel po’. E ho trovato Asfodelo!

Gli ho chiesto di mettersi il cappello come me. Il suo era un berretto instabile nero, il mio invece era un cappello di paglia, quello che il contadino mette in testa agli spaventa passeri che tengono lontani gli uccelli predatori dai suoi campi.

 Venerdì Santo. Pronti per lo spettacolo, in piedi nel mezzo di un pezzo di notte, con una luna in apogeo, grande più del mio viso, che sembrava muoversi, io e Asfodelo sul piano domestico, contempliamo la sera.

Intorno un silenzio lacerante per quell’ora presta della sera. La punta del campanile a vela della parrocchiale, illuminato nell’antro che ospita le campane, imponeva la sua luminosità nuova nel buio circostante, tanto da renderne sospesa la parte superiore. Con il colle dietro, nero come la pece, la sua sospensione immobile, mi ha fatto trattenere il fiato. Era come se il campanile fosse appeso al mio respiro e al mio prossimo espiro, sarebbe caduto.

Venerdì Santo, senza processione, senza i lumini nei davanzali per la via crucis. Il passaggio, sia laico che religioso è stato silente e senza luce come la morte. Niente avrebbe potuto esprimere meglio di quell’atmosfera sospesa, il significato religioso della ricorrenza.

Eppure sono anni che fuori da casa mia, ritrovo quell’immagine. Eppure non avevo mai notato il campanile sospeso nel buio, come una grande lanterna sorretta dal cielo, quell’inquadratura della sospensione estrema nell’ora della preghiera per la morte di Cristo, sacrificato per salvare l’uomo. Quell’uomo bulimico di rapine e anoressico di immaginazione, che sa guardare solo all’esterno per sognare e che rifiuta l’introspezione per risvegliarsi.

Così, do una pacca sulla spalla ad Asfodelo che non si gira nemmeno, incantato da quella magia che non l’aveva fatta lui, ma che gli avevo proposto io. -Senti tu, ci scriviamo una poesia su questa foto? Che ci fate lì, campane in lutto per il venerdì di Pasqua? Che avete fatto alla luce? Muovete le sospensioni galleggianti parcheggiate sul fondo dell’abisso che dopo oltre un mese di arresti domiciliari, ha cominciato a bollire come nel calderone gorgogliante di qualche incantesimo, riportando a galla un bel po’ di macerie che aspettano di essere definitivamente scartate-.

E quel nero che ricorda lo sfondo dei quadri di Caravaggio e il mantello che Pilato poggiò sulle spalle del Cristo insieme alla corona di spine per proclamare davanti alla folla inneggiante la sua crocifissione, il re dei Giudei, si faceva sempre più scena per un dramma raccontato…

-Sai vecchio, da piccola e anche poi da giovane, quando ero chiamata alla liturgia del venerdì santo, ho sempre sperato dentro di me che il sacerdote pronunciasse che Cristo era sopravvissuto! Niente cielo oscurato, niente notte in pieno giorno, niente donne che piangono sotto la croce. Niente di tutto quello che ci hanno tramandato. “Cristo non spirò”. Mi dicevo: questa volta ti salvi Gesù, in barba a tutta l’umanità! Vero che poi c’era la resurrezione, un dogma troppo grande per me piccola. Risorto o no, Cristo per me era un grande e meraviglioso uomo che è morto a 33 anni, troppo giovane per finire di fare il profeta. Punto. Non ridere Asfodelo, io vado fiera di questa fervida immaginazione condita di una speranza che in questo momento è meglio ripescare e ritrovare-.

Ero affascinata da quel rito. Mi facevo il mio bellissimo film con finale a sorpresa: Gesù non è spirato, sarebbe sceso dalla croce e avrebbe cambiato la storia. La sua mamma era felice insieme alla Maddalena dai capelli di vento. Niente lacrime, niente dolore. Solo una grande gioia. Niente estrema unzione, niente incenso, niente fiori per il funerale. Solo una grande e nuova speranza.

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01Apr

Penso col cappello marrone

1 Aprile 2020 silvia Racconti 86

Racconti

Penso con cappello marrone

Agire. A guardar bene, fare è diverso da agire. Fare è un’azione proiettata al prodotto, agire è un’azione che porta al soggetto che si dà una scelta e una meta. All’inizio del tempostrano avevo trovato che farefarefare mi aiutava moltissimo… il miglior rimedio alla detenzione e al fermo professionale.
Dopo un mese? Non è ancora passato un mese, ma il peso della reclusione rende i giorni tutti uguali, le cose da fare, già tutte fatte, gli esperimenti esperiti, l’introspezione eseguita, i piani per il temponuovo fatti… Oggi mi metto il cappello marrone che non aiuta a cambiare i pensieri, non mi porta al qui e ora, non mi fa cambiare sistema operativo. Mi porta semplicemente lontano, standomene ferma sullo sgabello posturale della mia scrivania che è in realtà una tavola riciclata con un panno verde da gioco, ottimo per far scorrere il mouse, con gli occhiali da vista che scendono continuamente dal naso, impedendomi di vedere, perché sono rotti. Da una settimana combatto con questi oculi de vitro cum capsula, come li chiama Umberto Eco nel Nome della rosa. Prima lo scotch, poi l’elastico da mutande (non avevo altro in casa) legato alle stanghette e passato intorno alla testa per non farli scendere. Le attività di ottica sono chiuse ovviamente… già è tutto una situazione non facile, toglietemi anche la possibilità di leggere e scrivere… perdo il controllo e piango.
Perché? E’ saltato l’automatismo sociale e la capacità di accettare che va ridefinito il ritmo della vita e va accolta la fragilità, senza vergogna né diniego.
Ho sempre considerato la mia fragilità come l’avamposto entro cui mi esiliavo per osservare con occhi estraniati ciò che succedeva. Quasi un dogma che mi imponeva di guardare non ciò che stava accadendo, ma quello che avrei potuto fare con ciò che stava accadendo. Il tempostrano mi ha fatto conoscere una fragilità che assomiglia alla sconfitta della ragione rispetto a qualcosa che è fuori di noi e che è difficile da controllare e da regolare lungo i sentieri che siamo abituati a percorrere.
#andràtuttobene. Non raccontiamoci promesse fragili. Il cappello marrone, il Borsalino del nonno Davide, con cinturino o puggaree nero di seta pesante, con un fiocco alla sinistra, appoggiato sul bastone da passeggio, mi dice che la memoria è continuamente divorata dal qui e ora. E con questo cappello in testa, oggi mi prendo una pausa dal vivere il presente, pianificare strategie, agire per il cambiamento… perché i programmi sono cambiati.
Mi vesto di un qui e ora proiettato fuori dalle malesorti, perché, non raccontiamoci nemmeno cose fragili, l’idea punitiva che le disgrazie ci rendano migliori, non è una verità.
In questo momento sento la mano nodosa del nonno Davide tenere la mia, mentre si andava a passeggiare verso la chiesa in un pomeriggio di primavera. E’ una mano ruvida da falegname con al centro una gibbosità che poi mi fu spiegato essere dovuta a una fibromatosi palmare superficiale, detta morbo di Dupuytren, malattia molto comune tra i falegnami. Devono anche averlo operato successivamente, ma la presa lieve di quella mano importante, martoriata da un lavoro usurante, la sento ora come un tempo.
Davide aveva le mani scabre, ornate di nodi di Dupuytren, svigorite dal lavoro e dall’età, ma nessuno sapeva tenermi per mano in quel modo dolce/ruvido che ricordo con nitidezza e che era lontano dalla tenuta serrata della mano di mia madre che temeva potessi scapparle in mezzo alla strada, da quella di tutti gli altri che non ricordo, perché avevo solo quattro anni.
Previsioni. Il tempoaltro che verrà, sarà vissuto da ciascuno in maniera diversa. La solidarietà, l’amore e il rispetto che abbiamo contemplato come valori in questo tempostrano, sono una cosa bella ma non potranno essere il frutto espiatorio di un senso di colpa. La natura ha fatto un esperimento su di noi nella speranza che noi raccogliessimo la sfida per diventare migliori. Perché la nostra hibris ha prodotto gli effetti del tempostrano, la superbia, gli eccessi, il prevaricare su un ordine naturale, già assai provato, ha causato  ciò che stiamo risarcendo ora. E non basterà.
Il tempoaltro produrrà effetti in base a quanto noi creature, avremo saputo socializzare con la nostra fragilità. Questo ‘rompere’ continuo e riaggiustare come possiamo, è un compito che richiede energie e creatività. ‘Dispositivi’ che sono messi a dura prova, almeno per chi indossa il cappello marrone, ripescato nel baule della soffitta, strigliato dalla polvere del tempo, arieggiato al sole troppo tiepido di questi giorni che invochiamo farsi avanti tra le nuvole sparse che infrangono un cielo timido di azzurro.
Adoro questo cappello, perché la sua vita è imparentata con la ‘friabilità’ di questo momento, dove non si sa per quanto, per come, ma soprattutto dove, ci porteranno i suoi innegabili effetti collaterali.
Fiori di cotone. Se alla nostalgia del ritrovato cappello marrone, aggiungiamo un goccio di essenza di fiori di cotone, quella morbida e ovattata fragranza che richiama l’aroma di pulito delle lenzuola appena stese della nonna Carmela, ecco un “qui e ora” che per un po’ mi porterà lontano.
Profumo di cipria e soavità distanti, il senso olfattivo mi regala un abbraccio materno. Quello che non ho, che non possiamo avere in questo momento. E il cappello marrone del nonno con il profumo profuso dall’ovetto sparaessenze di vetro, posto provvisoriamente sopra uno sgabello di legno a tre piedi e base rotonda, divenuto compagno essenziale in questo Armaggedon che pare non trovare fine, diventa il passaggio dallo stargate che ho oltrepassato proprio qui difronte a me.

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20Mar

Penso col cappello indaco

20 Marzo 2020 silvia Racconti 89

Racconti

Penso col cappello indaco (Foto di Arcangelo Piai)

I pensieri sono cose.  In questo periodostrano ho avuto la conferma che il nostro pensiero va osservato e monitorato con molta attenzione. Va organizzato in progetti e infine i progetti e le idee vanno trasformati in realtà. In sintesi tutto ciò che vogliamo fare e come lo vogliamo realizzare, nasce dalla nostra immaginazione. Ecco perché i pensieri sono cose e hanno un potere poderoso (nel bene e nel male) sul governo della nostra vita. Insomma, il successo dipende da ciò che pensiamo, perché siamo quello che pensiamo.

Con questa premessa ho voluto precisare, qualora non fosse chiaro, il perché io abbia deciso di indossare cappelli di colore diverso, ogni qualvolta non riesco a governare i miei pensieri.

Passa una notizia con la conta quotidiana dell’emergenza;

pensiero ricorrente: “voglio andare via…”;

metto il naso fuori e vedo le maschereconiguanti aggirarsi per strada o come stornelli avvicinarsi alla porta delle botteghe, spiare dentro per poi allontanarsi e riprendere le distanze di sicurezza. Quando sarà finita?

Cose stranissime accadono e io mi infilo il cappello indaco, per entrare in una dimensione diversa, per continuare a mettermi cappelli diversi, per controllare l’inquietudine, per tenere lontana la paura. Se sgarro poi, la mia amica che lavora sul corpo eterico (in sintesi è tanto avanti…), che medita per sé e per tutti noi, che sicuramente vede la sua luce interiore, mi tira le orecchie.

Nel mio cammino evolutivo di ricerca, sono allo studio della mente e di come questa possa influenzare il nostro destino.  Sul resto ci credo, perché le do ragione. Ci stiamo sbattendo per la stessa identica finalità: il bene nostro, quello del prossimo e quello generale, nella ricerca di diventare la migliore versione di noi.

Il cappello indaco. Siamo noi i padroni dei nostri pensieri. Solo a noi spetta cosa regalare alla nostra mente. I miei cappelli per pensare sono morbidi, senza la rigidità che è l’unico vero tratto distintivo della stupidità. E tanto più questi pensieri saranno lontani dalla malinconia, tanto più i nostri atteggiamenti si riveleranno forieri di tranquillità. I cappelli per pensare servono a rafforzare l’intenzione di voler governare i nostri pensieri. Non è che dobbiamo diventare tutti dei pensatori. E’ una capacità operativa. Se penso, produco idee che posso trasformare in progetti e in cose da fare.

Sapete, io sto provando con tutte le mie forze a trovare il modo per avvolgervi mentre scrivo, di lambirvi con le mie parole, di emozionarvi e farvi apprezzare ciò che siete e che avete dentro di voi. So bene che non è facile, che le regole Zen sono semplici da scrivere, ma difficili da attuare.

Per questo ho inventato la storia dei cappelli, perché i cappelli trasformano l’intenzione in attuazione. Avevo bisogno di uno espediente tangibile. I cappelli appunto.

In questo tempostrano mi sono accorta di quanto sia semplice apprendere e farsi trascinare dal cambiamento. Cambiamento anche interiore, parola che nelle logiche dei più, provoca tanto prurito. Una cara amica l’altro giorno al telefono, dopo avermi mandato la foto della sua nuova casa (ha rilevato la magione di famiglia dove sono nati i suoi nonni, il padre e lei stessa) che sta ristrutturando pian piano, mi ha detto che vivere lì, era sempre stato il suo sogno, ma quando ha iniziato ad abitarci, ha provato una gioia più grande di quella che avevo sognato. La realtà ha superato l’immaginazione del sogno. E i sogni si avverano se i nostri sono desideri ardenti, se ci battiamo a pensare che tutto di noi deve andare nella direzione del sogno! E se riusciamo in questo, senza mai mollare, senza dire alla terza caduta: “non ce la posso fare”, ma rialzandoci sempre ben disciplinati a raggiungere l’obiettivo, otterremo ciò che vogliamo. Ricordiamoci che sono proprio le cadute e le risalite a renderci migliori.

Periclitante. Mi imbatto in un aggettivo poco conosciuto. C’è più che mai bisogno in questo momento di non tornare sempre sugli stessi termini. Mi è circolato intorno e per l’appunto pensavo che c’entrasse con “l’andare intorno”. Invece c’entra col pericolo… Infatti vuol dire “essere in pericolo” (dal verbo latino periclitari, correre grave pericolo). Io ho pensato a perigeo, perielio… Perché istintivamente ho evitato anche solo di avvicinarmi a una parola ‘pericolosa’ di questi tempi? Perché mi sono messa il cappello indaco.
Provo a raccontarvi che se certe cose dobbiamo dircele solo tra persone che in qualche modo o da qualche parte stanno intraprendendo un percorso di evoluzione e di crescita personale, le cose non si modificheranno gran che. Io non la vedo ancora la mia luce interiore. Di questi tempi poi… però è commovente pensare che ci sta una luce nuova da qualche parte dentro di noi, che ci parla e ci racconta nuove verità.
C’è che è difficile disarcionare ciò che è diventato a noi familiare, consono, usuale… dobbiamo cambiare il nostro abito mentale se vogliamo andare lontano.
Cinestesico. In PNL (programmazione neurolinguistica) gli esseri umani nel ricevere e nel rendere il messaggio comunicativo, sono suddivisi in tre macro categorie: visivi, uditivi, cinestesici. I visivi sono coloro cui i messaggi arrivano se la comunicazione è fatta attraverso immagini (slides, video, foto, racconti di visioni ecc); gli uditivi hanno bisogno per recepire un messaggio, di ascoltare una bella voce, di avere della musica di sottofondo, eccetera; i cinestesici necessitano della materia tangibile per recepire il messaggio. Da ciò, bisogna fornire loro il progetto su carta o il manuale cartaceo o il blocco su cui scrivere. Hanno bisogno del contatto, di toccare le cose. Di questi tempi sono la categoria che sta soffrendo di più. Niente strette di mani, niente pacche sulla spalla, niente abbracci… A tal proposito sono andata a cercare un frase di Virginia Satir che non ricordavo a memoria, il cui significato però è assai più ampio… è tratta dalla poesia Quello a cui miro. “Voglio amare senza stringere, valutare senza giudicare, unirmi a te senza invadere, invitarti senza pretendere”… Valida ora, ma facciamola nostra sempre.

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18Mar

Penso col cappello rosa

18 Marzo 2020 silvia Racconti 82

Racconti

Ethos a mare. Foto di Arcangelo Piai

Penso col cappello rosa (Foto di Arcangelo Piai)

Vincerò. Passando in bicicletta mentre andavo a prendere il pane, mi ha distratta dai soliti pensieri dei mascheraticoiguanti, dal fastidio di auto che continuavano a circolare numerose (significa che tutte quelle persone da qualche parte sono andate), dal disagio di questo tempo strano, a volume da concerto allo stadio, l’aria del “Nessun dorma” della Turandot di Puccini. Mi sono fermata per capire da dove provenisse la musica… un terrazzo, due casse grandi. Non ho visto altro. Ho soltanto apprezzato, ascoltato per un po’ e poi canticchiato fin dal fornaio… il mio mistero è chiuso in te, il nome mio nessun saprà, sulla tua bocca lo dirò quando la luce splenderà. … guardo le stelle che tremano d’amore e di speranza… e il mio bacio scioglierà il silenzio che ti fa mia, dilegua o notte, tramontate, stelle! All’alba vincerò! Non sono sicura che sia proprio così… vado a memoria e non voglio controllare su google… io le ho fissate così, sono una ritrovata emozione, spero che lo siano anche per voi! Certo che questo tempostrano ci sta regalando cose imprevedibili. Tanto imprevedibile è stata la bomba, quanto lo stanno diventando le cose che accadano come effetto della bomba.

Visoni. Procedendo per la via direzione panetteria, passo obbligata davanti alla casa che fu di mia nonna Rosa. Sussurro l’aria “ma il mio mistero è chiuso in me…” mi piace proprio questo mistero chiuso… che poi io lo immagino cantato da Pavarotti che era un armadio a sei ante e mi sono sempre detta: quanto grande deve essere quel mistero se lo contieni dentro la tua mole antonelliana del tuo essere il più grande tenore mai esistito… e viaggio nel mistero chiuso in me… quale mistero ho io chiuso in me? Mi rispondo che dopo provo a cercarlo e magari ve lo racconto tra qualche giorno… ah, no ma non posso svelarvi chi sono, perché il nome mio nessun saprà. Guardo le stelle che tremano di speranza… E intravedo una figura alla finestra dove la Rosa sempre soleva appostarsi per salutarmi quando me ne andavo da casa sua. Rimaneva lì, finché non scomparivo dalla sua vista. Lo so, perché mi giravo per vedere se ogni volta assolveva al rito del saluto senza fine alla nipote. Un groppaccio alla gola mi è salito mentre mentalmente cantavo vincerò, vincerò, vince-rò. Perché la nonna è morta due anni fa, al posto suo, ci abita una nuova famiglia, al posto suo alla finestra, la bandiera che va di moda affiggere di questi tempi da rosario #andràtuttobene con l’arcobaleno dritto. Aperta parentesi. A me una carissima amica ipovedente mi ha insegnato a rovesciarlo… l’arcobaleno… perché così in cielo appare un sorriso…chiusa parentesi. La Rosa e vincerò nello stesso istante? Una lacrima e una vittoria imposta al mio cervello rettile attraverso il limbico? Dai che diventa inconscio il pensiero della vittoria! Tiro fuori dalla borsa il cappello rosa e do il via a un nuovo ciclo di pensieri.

Aristotele. Ethos. La credibilità. Decide se fidarsi o meno di te. Cervello rettile.

Pathos. L’emozione. Divertimento e batticuore. Il collante per fissare ciò che si apprende. L’obiettivo diventa esperienza. Cervello limbico.

Logos. Ragionamento. Attività voluta razionalmente. Recepimento di informazioni. Cervello rettile. Il cappello rosa mi riporta all’attività legata alla comunicazione persuasiva. Autopersuasione. Autostima e diventare la versione migliore di noi stessi. E’ una cosa da campioni e io non mi sento un campione, è una cosa da super eroi e io sono ancora solo un eroe. Il cappello rosa però mi ha ricordato che tutto tornerà non come prima, che sarà diverso almeno per me. Che avrò capito cose, sentito altre, evitato di.. e soprattutto avrò imparato a mettere i cappelli per regolare i pensieri. Avrò cambiato abito mentale.

Leone in gabbia. Cappello rosa? Oggi ci sta. La nonna Rosa, Pavarotti e vincerò… insomma un colore romantico, pastello, acquarellato, gli impressionisti, Monet, le ninfee… il cappello rosa non poteva essere strumento migliore per trattenere i ruggiti del leone in gabbia. In questa detenzione forzata, col cappello rosa ho imparato il coraggio di sostenere le mie convinzioni, di dire quello che penso e di dirlo bene. Ho respirato la libertà di sentire e di vedere ciò che è qui, di provare ciò che si prova. Uso metafore perché mi piacciono da morire, per aumentare l’empatia e accrescere l’emozione generata. Parlare bene non significa comunicare bene. Saper rendere comune ovvero comunicare bene, significa imparare a usare parole magiche che sappiano persuadere. Ma se una buona comunicazione non è avvolta dalla capacità di creare emozioni in chi ascolta, poco riuscirà a restare del messaggio che si intendeva lanciare.

#restoacasa #inutileuscire #coltiviamoilnostrogiardino #stiamoinfamiglia #nientedimeglio #immaginioniriche #cappelloviola #fotoadrianobarioli #attimirivelati #labellezzanonsvanisce #inventario

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16Mar

Il cappello viola

16 Marzo 2020 lucas Racconti 79

Racconti

Coraggio. A volte ci raccontiamo delle storie comode. Frastornati dal rumore del mondo, abbiamo sempre una scusa pronta per dare la colpa agli altri dei nostri insuccessi, delle insoddisfazioni e del nostro malstare. Perché tirare fuori il coraggio, ovvero le ‘palle’, è sempre la via più complessa e più faticosa. Lungi dai più, il far “della fatica”. In questi giornistrani la fatica è stata la mia miglior alleata. Quella del fare cose e quella del pensare cose per non pensare sempre all’emergenza in atto. Per questa ci pensano già i “signori dello schermo”, i bomberacasa, i contatti, gli spaventati, il silenzio lacerante che si fa sentire nell’istante in cui smetti di fare/pensare/leggere qualcosa. Non ho più alberi da potare, non ho più terra da vangare, non ci sono più lavori pesanti urgenti da terminare. “Dobbiamo trovare dell’altro da fare, mamma”. Certamente! Ce lo inventiamo, tranquillo, figlio mio!

Incertezza cronica. Possiamo dire che il tempo dell’incertezza è già da un po’ protagonista dell’era delle interconessioni. Smettiamo di raccontarci storie comode. Quella di queste settimane è più pesante, lo capisco, ma non è la prima che dobbiamo affrontare.

Regalo. Oggi ho ricevuto un regalo bellissimo! Il libro in e-book, Making contact di Virginia Satir. Me lo ha regalato colui che ho eletto a mio mentore nel mio recente viaggio dell’eroe. E’ introvabile in modalità carta. Lo considero il premio per aver scelto di non raccontarmi più delle storie comode, di essermi resa disponibile per aiutare in questo momento chi è più fragile e non trova la naturale forza interiore (perché non ha avuto l’umiltà di approcciare chi poteva indicargli la via), per invocare forze superiori.

Eliotropo. Ho deciso di mettermi il cappello viola, perché il viola è un colore speciale e nell’atlante sentimentale dei colori, è definito come il colore del potere. E’ un colore secondario, schiacciato dal rosso, dal blu e anche dal nero. La potenza del viola la si trova nella porpora di Tiro, segno di ricchezza e di elevato status sociale che stabiliva un legame tra l’umano e il divino e nella malva, che porta il viola a significato popolare, perché era il colore dell’antidoto contro la malaria. Il colore è stato bandito dalla Regina Elisabetta, a capo di quello stato che in questo momento ha decretato che si deve rassegnare alla perdita di vite umane causa pandemia.

Helios e trépo sole e volgo. Il fiore viola che segue l’andamento del sole. Profuma di crostata di ciliegie. Il colore della mente, aiuta a spostare le nuvole, innesca gli altri sensi, ci dice che, non solo di questi tempi, il modo migliore per predire il futuro, è inventarlo. Veramente lo ha detto Alan Kay nel 1971. Il futuro non può essere previsto; l’unica cosa che possiamo fare è crearne uno.

Il futuro si costruisce pian piano. E’ un’architettura. Ci vuole una vita per costruirne uno. Ho scoperto, soprattutto in questi giorni che sono in pochi ad aver capito questa cosa. Solo le persone che amano il presente che decidono di spendersi ogni giorno aggiungendo una tessera al mosaico del loro obiettivo, sono disposte a seguire questo fondamento. Gli architetti del loro futuro… Oggi, nell’era dell’incertezza, c’è bisogno di coraggio ed emozioni. Non servono altre idee, serve tirar fuori il coraggio per realizzarle. I grandi leader non fanno premonizioni, ma costruiscono il futuro.

Il colore viola. “Credo che Dio si arrabbierebbe se per esempio, uno passasse vicino al colore viola in un campo, senza notarlo”.

Albaviola. Alla fine c’è soltanto una cosa da portarsi a casa. Guardare al tempostrano con un cappello diverso al giorno. C’è che oggi hanno tentato di abbattermi due o tre volte (il lavoro anche se è silenziosissimo, lascia strascichi irrinunciabili). Io però avevo il capello viola, avevo i miei alleati di cervello e di anima, ho scritto una poesia #inventario… che fa anche così: E succede che in questo muto silenzio/si impara ad accettare/ciò che non si può mutare/si scopre il coraggio di cambiare/e la saggezza di scegliere tra le due cose/si lascia entrare il richiamo dell’amore,/il piacere di essere madre, moglie, figlia, amica e la sobria felicità di bastarci vicini. E questa foto albaviola di Adriano Barioli che accompagna le mie parole.

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#restoacasa #inutileuscire #coltiviamoilnostrogiardino #stiamoinfamiglia #nientedimeglio #immaginioniriche #cappelloviola #fotoadrianobarioli #attimirivelati #labellezzanonsvanisce #inventario

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15Mar

#Inventario

15 Marzo 2020 lucas Racconti 77

Racconti

Succede che tutto si ferma.
Succede che tutto si spegne.
Succede che tutto si chiude.
Succede che ogni rumore tace.

E succede che in questo muto silenzio
si impara ad accettare
ciò che non si può mutare,
si scopre il coraggio di cambiare
e la saggezza di scegliere tra le due cose,

si lascia entrare il richiamo dell’amore,
il piacere di essere madre
                                      moglie
                                               figlia
                                                    amica
e la sobria felicità di bastarci vicini.

Succede che importa solo
ciò che trovi a un metro da te
ciò che sei di bene per gli altri
e il resto è solo
un frivolo gioco delle parti
che patiamo come burattini schiavi di dipendenze,
un bagno freddo in pieno inverno,
il terzo uovo guasto rotto nel piatto,
un pugno preso senza aver evitato il colpo.

Accadrà che forse qualcuno
mai più come prima,
si sveglierà
per ricominciare,
subito pronto a mostrare
una sua nuova
rinnovata identità.

https://www.facebook.com/silvia.veronese.98

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14Mar

Coreografie col cappello blu

14 Marzo 2020 lucas Racconti 77

Racconti

Operosità. Potatura degli alberi invasivi sul marciapiede. Potatura dell’ulivo e dell’alloro di casa. Cinque residenti del quartiere San Lorenzo all’opera. All’aria aperta, a debita distanza, qualcuno con le mascherine. Gli altri vicini in casa che spiano dalla finestra. Anche questo giorno è volato via come i passeri e i pettirossi che frequentano il mio praticello per cibarsi delle briciole di pane raffermo, quando mi avvicino alla portafinestra della cucina.

Silenzio. Niente rumore di motori in giro, solo il Defender della protezione civile che passa col megafono, intimando di stare in casa. Nemmeno le voci dei ciclisti. Un aereo? Niente. Nessun passante. E sono le 16.00 di sabato. Non c’è proprio nessuno in giro. Tutti in casa, tranne noi potatoridipiante. Le nostre voci allegre si spandono nell’aria fresca di un pomeriggio grigio che minaccia pioggia, ma è solo una sfida, perché finiamo prima che piova. 

Oggi è un sabato che non è sabato. Non sembra nemmeno un altro giorno della settimana. E’ semplicemente un giorno in cui tutti i rumori sono spenti. Se proviamo ad ascoltare quelli delle cose, dei libri che stanno sopra la scrivania, riusciamo a immaginare il fruscio lieve dello scorrere del tempo. Se ascoltiamo l’ora, non si sente proprio niente.

Fragore.  E’ tempo di migrare dal silenzio esterno e di provare ad ascoltare una voce che muta, giace in qualche angolo del nostro corpo. Oggi indosso il cappello blu, quello delle coreografie che però mi crea un cerchio alla testa, perché ci sono cose che accadono e che vorresti tanto potessero restare ai margini. Tolgoemetto tolgoemetto soltanto perché devo scrivere. Vorrei mettermi il cappello verde per raccogliere l’oro che ci troviamo tra le mani, vorrei mettere il cappello giallo per aprire le porte ai “creatori di luce” e parlare con loro, vorrei mettere il cappello bianco, quello del nonpenso dunque nonsono, quello del “creiamo ciò che diciamo”, quello neutro di sospensione del giudizio. Oggi però devo scrivere del cappello blu, non c’è verso anche se cementa i pensieri fuori dal qui e ora. Troppo forte il rumore della mia mente in questo momento. Sento delle grida.  Il cappello blu è quello che decide che cappello dobbiamo indossare, quello preposto alla pianificazione dei pensieri. Allora (e con un gesto estremo mi ficco il cappello ben sopra la fronte), suggerisci o no? Distacco, controllo, freddezza. Detti le istruzioni o no?

Coreografia. Blocchiamo il flusso libero dei pensieri che urtano le sponde del fiume come barche a motore impazzite e mettiamo le cose in fila. Impostiamo i passi del pensiero come la coreografia di un balletto. Cambiamo aria, non facciamo procedere a vuoto i pensieri, con reazioni immediate a quello che accade momento per momento. Esploriamo l’esperienza. Siamo persone intelligenti, con un bagaglio di informazioni importante. Non è che possiamo trovare un fronte evolutivo che possa superare la volontà di fare male anche in questi tempi strani?

Difese. Non so voi, ma io pensavo che la vita in questo tempostrano, mi concedesse una tregua agli attacchi delle perverse dinamiche sociali che richiedono un sacco di energie per evitare che si sedimentino sulla bocca dello stomaco, lasciando spazio al macigno pesante che preme in basso fino alle viscere. Le cause passate per via evolutiva, creano effetti inaspettati che non hanno analogia con il presente.

Messa a fuoco.  Una telefonata che evidenzia uno stato sfavorevole al nostro benessere, che riporta in vita cose del passato e del presente molto scomode, non può, non deve farci perdere il focus. C’è differenza tra un buon pensatore e un cattivo pensatore: la difficoltà di mettere a fuoco un problema. Il buon pensatore sa distinguere e scegliere l’oggetto buono del pensiero.

Benedico te. Ecco il software personalizzato per questo tipo di situazione. Complicatissimo, poco intuitivo, ma è l’unico che io possa attivare oggi per tronare a sorridere delle mie mani indolenzite con i calli a forza di sminuzzare rami, di segare quelli più grossi per fare legna da ardere, dei giri con le cariole piene di sfalci scaricate vicino al cimitero, del profumo che si sta diffondendo in casa per la cheesecake infornata, della piccola legnaia che ospita i tronchetti nuovi, del piacere di aver parlato a toni alti per farci capire tra lavoranti che mantenevano le distanze di sicurezza dei tempistrani, delle risate per le istruzioni del buon Toni che indicava al mio figliolo quali rami potare dell’ulivo.

Tradizioni. Fammi povero che ti farò ricco… questo è il detto dei contadini euganei quando si tratta di potare gli ulivi. Più lo sfoltisci, più olive farà, più olio si produrrà. A pensare col cappello blu, in questo tempo di focolari domestici forzati, di riscoperta delle regole di buon vicinato, saremo forse più poveri di contatti, di stimoli esterni, di connessioni umane… ma i frutti che raccoglieremo dopo saranno sicuramente nuovi e molto abbondanti.

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#restoacasa #focolaredomestico #riscopripiacere #pensocolcappelloblu

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13Mar

Tolgo il cappello bianco e metto quello rosso

13 Marzo 2020 lucas Racconti 75

Racconti

… Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state… Vedo la casa, ecco le rose del bel giardino di vent’anni or sono! Vieni! Sarà come se a me, per mano, tu riportassi me stesso d’allora. Il bimbo parlerà con la Signora. Risorgeremo dal tempo lontano… (Cocotte, Guido Gozzano)

Atto primo.

Intuizione. Siete pochi, ma ho scoperto che ci siete e che vi è mancato l’appuntamento dei cappelli colorati.

Distacco. Ieri ho indossato il cappello bianco, quello neutro, distaccato, obiettivo. Per questo non ho scritto. Ho capito che non sarò più come prima. Che questa intromissione draconiana di divieti al nostro modus vivendi (che per fortuna non mi sta mettendo ansia), lascerà un segno nella mia vita e non sarò più quella di prima.

Agire compulsivo. Amo il cambiamento. Le zone di confort le evito… ci sto due giorni e dopo devo uscire, perché non riesco ad accontentarmi. Sento che c’è un qualche altro mondo straordinario migliore di quello che mi ospita da due giorni che mi spinge alla ricerca. Sono un esploratore.

In questi giorni il mio rimedio alla “situazione strana”, è l’iperattività. Ieri, quando mi sono accorta finalmente che lafuori non era tutto come sempre, che un silenzio innaturale dominava le sedici del pomeriggio, che le serrande erano tutte chiuse, che siamo terribilmente fragili e che ciò che mai sarebbe dovuto accadere, è accaduto, ho sentito. Mi sono concentrata sul qui e ora, perché se corro inlà a quando tutto sarà finito, vedo la rincorsa al recupero del rimandato, l’assalto delle case editrici perché tutti si saranno messi a scrivere: “i giorni al tempo della pandemia” e si sentiranno meritevoli di riguardi, l’aggressione di massa di coach, motivatori, influencer che devono recuperare fatturati e clienti perduti in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo…

Ergo, non scrivo il mio contributo, tanto è inutile, tutti migliori di me lafuori.

Stop, signore e signori, scende il sipario.

Atto secondo.
Cose che non so fare. Ho abbracciato il cahos e mi sono ripromessa che devo imparare il più possibile a farmi le cose, perché nonsisamai. Fare e poi possedere la materia plasmata e raffinata, dà più che mai un senso di onnipotenza e in questo momento se ne ha un gran bisogno.

Cuscini. Mia madre sa fare tutto. Da lei ho imparato molte cose. Nell’ambito ‘cucito’, in modo approssimativo. Sta che non potrei concepire una condizione senza una macchina per cucire in casa. Per me è importante averla funzionante come l’aspirapolvere, il ferro da stiro…

Siccome ho imparato che spostare l’arredamento di casa, cambiare le fodere dei cuscini e rendere più belli gli ambienti dove viviamo, modifica la nostra attitudine mentale e poiché ho bisogno che in ogni stanza ci sia armonia di colori, mi sono inventata di fare le fodere dei cuscini appoggiatesta, abbinati alla biancheria del letto. Cerco nel baule di mia madre che è come la borsa di Mary Poppins, non ha fondo e scelgo la stoffa… Confeziono i cuscini e poi decido che la cerniera questa volta, voglio imparare ad attaccarla io. La mamma insegna, con la sua macchina per cucire (un’astronave! Altro che la mia!) e io imparo.

Risultati. Ho due bellissimi cuscini a motivi damascati rosapesco su bianco, e tutto brillerà di più…

Impressioni. Fuga di sentimenti ieri. Stati d’animo che nessuno vuole leggere o ascoltare.

Spero che il ciclo strano, magari dopo un bell’acquazzone che ripulisca via tutto, riporti un po’ di disciplina. Ieri ho vomitato pensieri legati a ricordi, a cose fatte e non, a quanto siamo niente e che niente continuiamo a voler essere, perché non ci pensiamo.

Presentimenti. Indosserò il cappello rosso che mi autorizza a esprimere sentimenti che vanno dalle sensazioni ai presentimenti. Perché col cappello rosso non sono tenuta a giustificare o spiegare una sensazione. Posso recitare la parte del poeta che scrive col cuore, anziché procedere con la ragione.

Spirale. Il simbolo di questo tempo potrebbe essere il serpente caduceo, la spirale archetipo di evoluzione di una forza e di uno stato. Una linea che si avvolge su se stessa, un motivo aperto e ottimista. Parto da un’estremità e arrivo all’altra. Prolungo e mantengo all’infinito questo movimento. La spirale è un tipo di linea che collega eternamente due estremità del divenire. Esprime emanazione, estensione, sviluppo, continuità ciclica e rotazione di creazione. Se la raddoppiamo diventa la linea mediana dello yin-yang. Aggiungo un’altra asse di legno alla costruzione del ponte oriente/occidente.

Non siamo tutti uguali nell’emergenza.

E io divento un granello di sabbia e il mio diventa il vano tentativo di emarginare la massa amorfa degli umani. Sono andata a fare la spesa per la prima volta dopo una settimana. Volevo scappar via! Ma quattro cose indispensabili (non ho scorte. Compro quello che mi serve e quando è terminato, ricompro) mi hanno spinto a gettarmi nell’agone.

Ero la moglie del medico del romanzo distopico Cecità di José Saramago. Ero l’unica ad avere la vista in mezzo a un branco famelico di ciechi. Stop. Fine secondo atto. Giù il sipario.

Distopìa. Restiamo a casa. Il futuro che possiamo immaginare sarà idilliaco. I pensieri che potremo fare saranno sicuramente radiosi. Fuori ci sono solo ciechi abbacinati.

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#restoacasa #inutileuscire #coltiviamoilnostrogiardino #stiamoinfamiglia #nientedimeglio #immaginioniriche

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11Mar

Penso col cappello giallo

11 Marzo 2020 lucas Racconti 77

Racconti

Il terzo giorno che volevo

Amore. Mio figlio, occupato con me a rispettare il piano delle attività promulgato la scorsa domenica sera per fronteggiare il periodo di isolamento. Agire e tenersi in attività per far girare la chimica antipanico e pro difese immunitarie.

Mercoledì, tinteggiatura della muretta fronte casa, opportunamente predisposta e scrostata nei giorni scorsi. Inizio lavori ore 8.30, termine lavori 12.00. I passanti si fermano a debita distanza, salutano, si complimentano. Genitori con i piccoli per mano, anziani con le sacche della spesa. Abitiamo in un quartiere residenziale chiuso. Scuoto la testa, perché mi rendo conto che in dieci anni di residenza in questa via, non ho mai incrociato nessuno.

Mi accorgo che il ventenne non ha le cuffie nelle orecchie, non guarda il telefono, parla un sacco, canta… Scena che avevo scordato, allegria e soddisfazione che dileguano interferenze, inquietudini e angosce. Madre e figlio: chiacchiere, risate, ironia, prese in giro. #emergenzaamica

Sono solita alzarmi sempre molto presto la mattina, alle 6.30, e devo essere onesta, dopo la giornata di ieri col cappello verde, questa mattina avrei indossato volentieri un cappello nero.

Ma mi sarei sentita in colpa, perché soltanto ieri raccontavo la via dell’ottimismo… vi ricordate Tonino Guerra? “L’ottimismo è il profumo della vita e ridendo si moltiplica!”; “l’ottimismo vola!” e giù, l’imprecazione per la deiezione del piccione in un occhio!

E’ difficili essere ottimisti, lo so. Il pessimismo ci protegge da rischi, errori, pericoli. L’ottimismo è un mix di curiosità, golosità, desiderio, piacere. L’ottimismo fa sì che le cose accadano.

Così mi sono messa il cappello giallo, quello che protegge dall’incertezza, perché le idee, i progetti, i pensieri che genera il cappello giallo, alimentano i miei interessi personali.

Pace. “Dai la cera, togli la cera”, diceva il maestro Mijgy a Daniel del “Chimono d’oro”.

“Pace interiore prima di tutto”. E il ragazzo a recitare “dai il pennello, togli il pennello”…

Allegria. Per chi non è abituato, il lavoro manuale mette di buon umore, soprattutto quando dà come risultato ordine, pulizia e bellezza, soprattutto se si è in buona compagnia, soprattutto se porta a riscoprire piaceri perduti.

C’è che stanno girando dei messaggi molto belli… si sono fatti avanti anche i “creatori di luce”… chi fa yoga non si vergogna della sua ricerca interiore e lanciano i loro mantra ‘om’.

C’è che, ciascuno a modo suo, deve trovare una formula ecumenica per richiamare le energie dell’universo. 

C’è che questo stato di semidetenzione dalle abitudini croniche, ci sta rivelando delle belle sorprese.

C’è che bisogna fare, e stancarsi per arrivare a sera soddisfatti di aver fatto “indigestione di cose”. C’è che ci sono solo vantaggi a mettersi il cappello giallo della positività. Anche perché una valutazione positiva, precede sempre un vantaggio e non viceversa.
C’è che possiamo stare un po’ di più dentro le cose e questo ci farà bene.

C’è che questo momento strano, mi suggerisce di occuparmi della creazione di quel ponte tra oriente e occidente, tra chi è zen e chi insoddisfatto non fa un passo per stare meglio, chi insegue l’effimero, chi non accetta trasformazioni, chi non cerca di essere il meglio di sé. 

Noi occidentali prediligiamo la dialettica e la critica; prima formuliamo una conclusione e poi adduciamo i fatti che la sostengono. Invece, prima si dovrebbe fare una mappa e poi scegliere il percorso. Prima si conoscono realtà, fatti e cifre e poi tracciamo il piano.

In silenzio, un po’ ogni giorno, senza forzature continuare ad alimentare i circuiti neuronali ed energetici nella frequenza delle emozioni.

La conta non migliora. Bombardamenti di notizie vere/verisimili, isolamento ancora più restrittivo. I ‘modelli matematici’ dicono che… se non #stiamoacasa, entriamo in fase turbolenta.

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#stiamobeneincasa #statebeneincasa #amorepaceallegria

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10Mar

Penso col cappello verde

10 Marzo 2020 lucas Racconti 81

Racconti

Dieci marzo duemila venti. Stop.

Finito di correre, di agitare ogni cosa per farla ‘fruttare’. Credo stia accadendo il momento che mai avremo immaginato. Mi sono detta un sacco di volte che avrei dovuto rallentare. Ci ho provato sul serio e mi sono persino licenziata da un lavoro sicuro per preservarmi. Ho abbracciato il cahos per cambiare, ma mi sono ritrovata quasi più invischiata di prima.

Dovevo frenare di nuovo. Ci ha pensato un virus a fermarmi, a fermarci tutti. Metafora ovviamente. Specifico, perché di questi tempi non si sa mai. Sto benissimo e continuerò a stare bene e a fare un sacco di cose belle, senza farle per forza fruttare. Ci sarà una grande ripresa e cavalcheremo l’onda del successo! Questo è l’atteggiamento giusto per stimolare le endorfine e attivare la chimica del benessere per rafforzare gli anticorpi.

Ora tutti a casa! E’ arrivata la risposta a una concentrazione di pensieri uguali.

E’ ora di raccogliere l’oro che ci troviamo tra le mani.

E’ ora di imparare a muoverci e di apprezzare quelle cose che ‘ora’ ci sono inibite.

E’ tempo di reazione. Poiché sono convinta che tutto è presente e nel presente la paura non funziona.

E’ tempo di riscoprire il senso di collettività che (dai, siamo sinceri) abbiamo perso!

Si sta male da soli, costretti a essere isolati! Non poter condividere emozioni, gioie, pensieri, è drammatico!

Ora però è tempo di riscoprire che con una telefonata o una video chiamata, si può vivere l’emozione.

E’ ora di riaprire i bauli dei giochi o delle foto, di tornare a scrivere il diario (io ne ho tre da sempre. Non ho mai smesso di scrivere su almeno tre universi vergini alla volta).

E’ ora di leggere i libri impilati sul comò.

E’ ora di guardare di più il cielo e di spostare le nuvole. Di trovare un nostro centro diverso da quello dell’altro ieri. Niente baci o abbracci, ma parole misurate al posto giusto e al momento giusto e non vomitate addosso o sputate sul web. Mettetevi la mascherina per cortesia, ma non per proteggervi dal covis 19, perché ora dovete stare a casa, ma per non rigurgitare corbellerie.

E’ ora di capire quanto sia pesante non poter stringere una mano, non potersi avvicinare a chi si ama per proteggerli dal nemico.

Ora, un metro di distanza è una forzata linea di confine che mi allontana dal mio prossimo.   

Non vi dà fastidio dover parlare a un metro di distanza dalle persone? A me no, perché la mia voce è impostata da palcoscenico per cui il mio diaframma spinge un po’ di più, ma mi sentono forte e chiaro anche se fossero tre, i metri di distanza.

Ora impareremo a stare più attenti. Domani, quando tutto sarà quieto, non saremo più come prima.

Ora abbiamo capito quanto siamo fragili, quanto legati ad abitudini malsane, quanto male ci stiamo facendo. Lo so che è più comodo essere pessimisti. Rassegnarsi a dare la colpa agli altri.

Qui e ora, paghiamo tutti e non si tratta di chi più o chi meno. Si tratta che siamo tanti, che siamo irragionevoli, che dobbiamo cambiare. Quindi, a chi l’ha presa drammaticamente e per paura di morire di fame, vola all’accaparramento dei viveri e dei farmaci dico: smuoviti dal tuo torpore, dal tuo letargo, esci dalla caverna uomo e CAMBIA destinazione. Agire è l’unico rimedio alla paura. “Nel qui e ora, la paura non esiste, perché arriva quando si pensa al passato o supponendo scenari futuri che non hanno certezza comprovata di accadere. Dobbiamo rimanere carichi di risorse e, nell’attesa che l’inverno finisca, prepararci per l’arrivo della nuova stagione. Alleniamoci per mettere in campo nuove abitudini, decidiamo di abbracciare il cahos. Usciamo dalla zona di benessere (comoda per molti) in cui siamo stati ancorati fino a qualche giorno fa e ci ritroveremo in uno status quo più alto, in un mondo straordinario dove potremo mettere a fuoco nuove competenze e nuove proposte”. Cito l’esortazione che Nicola Zema, il coach dello sblocco, ha rilasciato su youtube. A presto e vi racconterò una storia interessante.

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Silvia Veronese comUnica
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