Silvia Veronese ComVnica
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Silvia Veronese ComVnica

silvia

11Nov

Il cappello di Charlot

11 Novembre 2020 silvia Racconti 16

silvia

COME STAI. IO? BENE… NON È VERO.
A tutte le persone che alla domanda imbarazzante di questi tempi: “come stai”, con altrettanto imbarazzo, rispondono: ‘bene!’… per come possa star ‘bene’ in questo frangente, chi cerca il vero significato dell’appartenenza alla vita.

IL CAPPELLO DI CHARLOT

E se qualcosa resta
tra le ore di ieri
e le ore di domani
a chi non si volta indietro
a guardare sedie vuote
e tavole piane
dimenticando parole
o risposte sterili
nel pieno fluttuare
di un lampo…
Non vorrei che in questo
respiro di vetri rotti
nel silenzio di una stanza
chiusa di spalle
si sentisse un rimbalzo
di ore indecise.
È del vento ora,
il solo pianto che sento.
E questo è un altro film
in bianco e nero
sordo di luce
muto di pace.

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13Ott

C’è da riaccendere il tasto verde ‘umanità’

13 Ottobre 2020 silvia Racconti 14

silvia

IL RICHIAMO DEL COACH
C’è da riaccendere il tasto verde ‘umanità’
Come sono cambiate le aziende con la pandemia? In meglio o in peggio? Quale sarà la normalità post covid? Nicola Zema, interventionist coach è convinto che la chiave di volta va cercata nella leadership: grandi competenze tecniche senza la giusta dose di umanità e di capacità di relazione, non portano un’azienda al successo.

Aziende in crisi, che si lamentano, che posticipano il processo innovativo sotto l’egida “tutta colpa del covid”. Dirigenti che faticano a rafforzare la loro ‘barca’ per traghettare il popolo al di là del Flegentonte. Lavoratori che rinunciano ad agire per ‘contrapassare’ l’incertezza del momento, persone che sembrano aspettare solo il prossimo bollettino di guerra e il nuovo DGPR sulle restrizioni anticontagio e si nascondono dietro la vana rassegnazione all’attesa del prossimo lookdown.
E’ questa l’aria che si respira in giro, una scellerata forma di piacere nell’imputare all’apatia, al bisogno del sussidio, al lamento, l’unico atteggiamento che sia consentito in questa sventura.  Sembra di stare in una grande palude Stigia (per continuare con le memorie dantesche) in cui non vi sono immersi gli iracondi, bensì gli ignavi destinati a inseguire un vessillo… C’è bisogno di una decisa ‘spettinata’, perché è proprio la determinazione che manca e la giusta “alleanza di cervelli”, così tanto invocata dal buon Napoleon Hill.

Nicola Zema, è proprio così?
Sì, è così per alcune aziende che forse non aspettavano altro che l’occasione per posticipare consulenze e attività di formazione, solo perché non le reputano interessanti e strategiche. Non è così per un’altra categoria di aziende che invece non vedevano l’ora che le aule tornassero a riempirsi per poter attingere a idee, suggestioni, ispirazione da parte di chi ha qualcosa ancora da raccontare, da suggerire a titolari e dipendenti.

Il covid ha creato una sorta di spaccatura parzialmente incolmabile tra aziende che hanno fallito nel pianificare la loro formazione, quindi hanno sostanzialmente pianificato di fallire e aziende che hanno avuto il tempo di riflettere e organizzare la loro evoluzione.

L’uso dello strumento “video conferenze”, lo smart working, i webinar eccetera, sono processi che la pandemia ha accelerato?
Sì, se parliamo di smart working e tutto quello che gli va agganciato. Dico una cosa abbastanza popolare, perché nel mondo lo smart working funziona da decenni. Noi forse non siamo abbastanza abituati, quindi il rischio è che rimanendo a casa a lavorare, per quanto si cerchi di disciplinarci, ci si faccia prendere da quella che è la quotidianità e da geniali procrastinatori quali siamo, cadere nell’errore del “lo faccio dopo”. Persino io che ho l’ufficio a casa, separato solo da una porta dalla vita familiare, ho dovuto disciplinarmi molto duramente per non farmi dominare dal ‘cuore’.
Lo smart working ci permette di lavorare in condizione di “focalizzazione rilassata”, ma contiene un contraltare terribile: o si impara a fare i piccoli imprenditori di se stessi, che pianificano, che gestiscono le risorse in maniera totalmente diversa da come si faceva in ufficio o si fallisce. Purtroppo non tutti sono in grado di farlo, perché nessuno ce lo ha insegnato, dobbiamo improvvisare e non sempre l’improvvisazione paga.

L’evoluzione che hanno innescato questi processi, era necessaria?
Necessaria nella misura in cui si va ad abbattere distanze, a risparmiare nei costi, perché un webinar o una conference o una riunione virtuale, ci consentono di essere più strutturati nella pianificazione  dell’ordine del giorno… e tutto si ‘asciuga’. Il problema enorme è che però si essicca anche il “bagno di folla”, il contatto umano. La situazione asettica di questi strumenti, interrompe quell’intelligenza superiore che si sviluppa quando tre o più esseri umani sono seduti intorno a un tavolo, esprimono il loro parere, si toccano, si guardano e creano alchimie che purtroppo l’online spegne. Ben venga dunque, “faccio di necessità virtù”, perché in questo momento limitiamo il contagio, ma spero che presto si possa limitare al minimo questo tipo di attività.

Torneremo ad affollare i teatri?
Obbligatoriamente sì, è una mia speranza, ma anche una mia certezza, perché quello che manca oggi è l’interazione, non solo verbale, ma anche e soprattutto quella non verbale tra docente e partecipanti, tra persone di un team. Torno a parlare di quella famosa alchimia che si crea quando siamo vicini. Siamo esseri umani, siamo esseri sociali e abbiamo bisogno del contatto che crea idee, suggestioni, stimoli.

Che normalità ci dobbiamo aspettare dopo il covid?
Ci vorrà molto per approdare a una nuova normalità. Indipendentemente dal quanto durerà l’emergenza. Credo che alcune consapevolezze rimarranno. Saremo sempre un po’ diffidenti nei confronti degli altri.  I contatti non torneranno ad essere come prima e qualcuno rimarrà ancora ancorato alla distanza, alla teleconferenza, perché un anno trascorso condizionati da queste abitudini, ci ha resi sterili e ha dato la possibilità a chi non è capace di gestire le relazioni umane, di perseverare nell’impersonalità.
Sì, torneremo a una nuova normalità. Perché siamo fatti così, siamo esseri umani. Faccio una fatica enorme a generare empatia (che è il viatico per creare una relazione) quando una persona è distante dal mio muso solo 20 centimetri, ma in realtà non è davanti a me fisicamente. Non posso avere il feedback “non verbale”. Questo è un enorme problema: La qualità della comunicazione è il feedback che ne ricevo. Nella comunicazione online manca completamente la possibilità di validare questo assioma. Serve il coinvolgimento emotivo per aiutare le persone a trasformarsi nel modo migliore. Occorre agire sulle emozioni, non sul cervello.

Qual è l’errore che non devono fare oggi le aziende?
Quello che ripeto sempre a tutti, che mi fa passare per visionario: non smettere mai di cercare quel tasto verde che tutte le persone hanno collocato da qualche parte, con su scritto ‘umanità’. Ci hanno sempre detto che un capo, un collega eccellenti, sono un capo, un collega competenti. Di un capo o di un collega competenti non me ne faccio nulla, se il suo livello di umanità, di capacità di creare e gestire l’azione, il suo livello di comunicazione, non sono tali da poter insegnare queste competenze a chi sta dietro di lui.
Non mi stancherò mai di dire che il valore e la qualità di un’azienda, dipendono dalla capacità di trovare al suo interno un leader da affiancare al leader esistente. Se ciò non accade si è destinati al fallimento non economico, ma spirituale ed etico.
Servono competenze tecniche senza le quali non si può fare nulla, ma altrettanto sono indispensabili quelle doti di umanità, di relazione che ci consentono di condividere tra gli elementi di una squadra, queste competenze per far sì che tutti diventino più forti.

Nicola Zema, da 25 anni a servizio delle aziende grandi e piccole come coach, consulente, formatore e ora anche docente della YVC Academy, ente di certificazione in coanching.
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23Lug

Vivere contro

23 Luglio 2020 silvia Racconti 14

silvia

IL RIFIUTO DELL’APPRENDIMENTO E IL TRIONFO DELL’EMPIRISMO

Di solito pubblico articoli di carattere generale, legati alla mia professione, alle competenze, alle esperienze. Questa volto rompo gli schemi e pubblico una poesia perché sono stanca di cercare la ‘cosa’ interessante, l’invenzione del secolo, l’articolo scandalistico, la storia più eclatante. Nessuno legge, nessuno ascolta, nessuno è cambiato, tutto è ancora più asfissiante di prima. E per lavorare almeno per sopravvivere, si è costretti ad annaspare ancor più di prima. Vado contro, scrivo contro, penso contro. Una ‘cosa’ breve più di una folgore, che attiri l’attenzione, che aiuti a cambiare, che sia un tocco di bellezza struggente… mi è venuta solo una poesia con una bella foto. Buona lettura.

VIVERE CONTRO

Questo momento
razziato di qualsiasi
rivolo di ossigeno
come una superficie marziana
è un mare morto di negazioni
in un asfissiante labirinto di rose
che arde ogni profondo
respiro di supplica.

– No, non deve essere-.

Saprà aspettare quieto
questo filo d’erba inclinato,
gli alisei e una pioggia di rugiada
per drizzare la cima
e salutare di nuovo il sole
in un’alba dalla bocca di rosa?

– Si deve-.

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09Giu

Settore artistico tradizionale falcidiato dalla pandemia

9 Giugno 2020 silvia Racconti 12

Dobbiamo trovare nuove strategie per rilanciare il settore a partire dalle nostre città

Settore artistico tradizionale falcidiato dalla pandemia

Dobbiamo trovare nuove strategie per rilanciare il settore a partire dalle nostre città

Mi è capitato di incrociare le riflessioni rassegnate di alcuni artigiani del settore artistico tradizionale. Il settore dell’artigianato artistico ha subito un durissimo colpo a causa delle necessarie misure di contenimento del virus. E’ stato tra gli ultimi a ripartire, almeno dal punto di vista del rilancio.  A mettere in crisi il comparto produttivo, oltre al perdurare del divieto di assembramenti e di manifestazioni fieristiche ed eventi, la diminuzione dei flussi turistici, fondamentali per la sopravvivenza di numerose attività artigiane legate al comparto.

Continuando nel dialogo, ho condiviso con loro una strategia per tentare di risollevare il comparto: cercare di sensibilizzare i concittadini, di ripartire dalle città d’arte e ricche di storia in cui lavorano queste botteghe.

Considerando le difficoltà di reperire gli aiuti statali previsti dai vari Dpcm, la ripartenza dovrebbe partire proprio dal sostegno della produzione artigianale locale delle nostre realtà.

L’appello alle istituzioni, dal Governo alla Regione a sostegno del comparto che soffre già da tempo di una crisi che non è mai stata presa in considerazione veramente, verrà accolto?

Pur rispettando le prescrizioni del distanziamento sociale, la maggior parte delle botteghe, sono di piccole dimensioni e vendere non è facile. Vero che si sono lanciati nell’e-commerce, ma non sempre il commercio online dà gli stessi risultati dell’offline. Non dimentichiamoci che la difficoltà di accesso ai mercati internazionali e di utilizzo delle tecnologie, c’era anche prima della pandemia. Pur offrendo una produzione di altissima qualità che ha un valore culturale inestimabile, si rischia di andare in malora.

Mi chiedo: la cultura artigiana, ha ancora un ruolo determinante sull’economia? Mi sembra che in questa emergenza si sia perso di vista questo importante valore. Perdere l’attività dell’artigianato artistico non significa soltanto perdere posti di lavoro, significa soprattutto perdere l’immagine culturale e storica del nostro paese.

Orafi, artisti del ferro e del legno, vetrai, orologiai, restauratori, scalpellini. Un patrimonio di manualità inestimabile che con il lockdown ha subito una battuta d’arresto che lascerà cicatrici indelebili.

La regione Veneto nel 2019, risultava la regione italiana più specializzata nel comparto dopo Toscana e Marche. Le ricadute del Covid però rischiano di compromettere questo scenario.

Alla fine del primo trimestre 2019 in Italia le imprese dell’artigianato artistico e tradizionale erano 288.302 con 801.001 addetti, vale a dire il 22 per cento delle imprese artigiane e il 28 per cento degli addetti dell’artigianato nazionale. I dati del Veneto non si discostano dalla media nazionale.

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13Mag

Dove la rete si fa ‘rosa’, nascono le opportunità

13 Maggio 2020 silvia Racconti 14

silvia

Venti professioniste che si sono conosciute su Linkedin grazie a un video seminario di Maria Letizia Russo, collegate dalla docente in un gruppo “quellechelinkedin” sulla ‘messaggistica’ del social, stanno mettendo insieme una serie di buoni consigli per aiutare le imprese in difficoltà

Accade che si decide di seguire un primo webinar su come sfruttare le potenzialità di Linkedin. Accade che nell’aula virtuale di una brava trainer e consulente Linkedin e sales navigator, tale Maria Letizia Russo, conosciuta fortuitamente grazie all’algoritmo della piazza web di microsoft, si siano ritrovati in media, 40 professionisti.

Accade che si frequentano altri webinar di lady Russo, si seguono ulteriori approfondimenti e verifiche.

In meno di un mese “lady Linkendin” ha creato un nuovo network di persone che scegliendo di continuare a formarsi nei mesi di fermo da pandemia, ha imparato e si è affezionata a un nuovo modo di allargare gli orizzonti.

Non è stata la ricerca di una socialità alternativa a quella negata, il bisogno di ritrovarsi in un club virtuale di quasi disperati che cercano di farsi una reputazione su Linkendin per reclutare nuovi contatti professionali, per suscitare fiducia, per creare contenuti interessanti… Né soltanto la necessità di imparare le tecniche di corteggiamento del pubblico per aumentare i collegamenti e per fare un incantesimo all’algoritmo birichino. E’ stata una serie di casualità legate a necessità formative.

Sta di fatto che lady Russo crea un gruppo sui messaggi di Linkedin… pochi maschietti che si sono poi defilati, mentre 20 donne, “quellechelinkedin…”, hanno iniziato a dar vita a una chat molto interessante.

Sia chiaro, niente chiacchiere da bar, ma un re-framing della situazione di semi-detenzione che ci ha fatto scoprire l’utilità di un ritrovo virtuale, innovativo, mai banale, a volte pure divertente. Per il solo piacere di ricevere un consiglio, di scambiare un’opinione, di ricevere un supporto da problem solver.

“Le donne lo sanno, c’è poco da fare, c’è solo da mettersi in pari col cuore, lo sanno da sempre, lo sanno comunque per prime”. Ligabue canta e “quelle che linkedin…” dimostriamo che ha ragione.

Così, dalla Sicilia al Veneto, una squadra di professioniste si è organizza anche in tempo di detenzione pandemica in rete, per costruire progetti e soprattutto per aiutare a ripartire il mondo delle imprese.

Si sta definendo un protocollo dove saranno sintetizzate una serie di buone regole da condividere con i propri clienti in difficoltà per affrontare la ripartenza. Sarà completo di consigli sulle strategie di marketing, su come utilizzare Linkendin, su come comunicare in modo efficace davanti a una webcam, su quali strategie puntare per rialzare le ali…

Con la regia di lady Maria Letizia Russo, la nostra collaborazione a servizio di chi chiamerà.

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05Mag

Verter, la panchina e il cane

5 Maggio 2020 silvia Racconti 14

silvia

La magica bisaccia e il cane parlante

Quello che vedete, è un signore di mezza età che se ne sta seduto su una panchina del parco urbano sotto casa. E’ solo, è riflessivo, ha lo sguardo fisso sui passanti e l’orecchio rivolto alle voci dei bambini che giocano a rincorrersi, a guardia e ladri, a fare la guerra e cantano a squarciagola.

Sorride perché quei giochi stridono un po’ in quel contesto, non appartengono ai tempi attuali, ma in tempo di pandemia sono tornati a deliziare le giornate sia di chi resta in casa e apre le finestre, sia di chi se ne sta fuori in giardino, sia di chi passeggia entro i limiti consentiti dal protocollo anti contagio.

Verter è l’emblema dell’uomo insoddisfatto. Si è pure rimesso a guardare il lato spirituale di questa faccenda bizzarra che è la vita, nella speranza di trovare una sistemazione al suo problema di fondo: la mancanza di autostima. Si è convinto di essere un uomo mediocre e ha deciso di non voler più continuare a combattere tutti i giorni per cercare che qualcosa accada.

Verter non è scemo del tutto e sa che la parola suc-cesso contiene la radice del verbo accadere e che se si vuole avere  successo, si deve far accadere le cose, non aspettare che accadano da sole.

Mentre sorride, osservando un gruppo di bimbi che gioca a “strega comanda colori”, si avvicina alla panchina un cane di mezza stazza, non di razza, ma molto curato. Si accovaccia ai suoi piedi tenendo le due zampe anteriori erette.

Verter il signoreconfuso, gli accarezza la testa senza pensarci, con un gesto automatico e mentre sospende la mano sul capo del cane…

“Ciao uomo, sei triste? E come lo rendi possibile?”.

Esterrefatto, l’uomoconfuso ritrae immediatamente la mano dalla testa del cane, arretrando tutto il corpo e tentando invano di levarsi in piedi per darsela a gambe. Era come immobilizzato e non riusciva ad alzarsi dalla panchina.

“Non temere, voglio soltanto chiederti se hai frugato bene dentro la bisaccia che hai dietro la schiena. Tu forse non la vedi né la senti, ma ti invito a guardarci dentro. In questo momento ti senti sconnesso, perché hai una percezione di te stesso e di quanto vali, troppo limitata.

Vedi, se anche gli uomini vengono baciati dalla fortuna o si circondano di persone che tessono le loro lodi, il livello di autostima non può andare oltre la percezione che hanno di loro stessi”.

I valori che vi date, sono il vostro limite, un limite autoimposto. Se tu ti valuti 5 anche se potrai godere di un colpo di fortuna, continueresti a pensare che non potrai mai valere 7. Ti chiudi dentro una scatola che ti sei costruito, pensando che fuori non ci sia spazio per te e te ne stai lì, non soddisfatto. Gli altri non possono aiutarti. Devi tu aiutare a cambiare l’autopercezione di te stesso. Siete tutti ordinati per il successo, dovete soltanto riscoprire il potere dell’immaginazione”.

L’uomoconfuso sgrana gli occhi: un cane che parla non è possibile!

“Perché devi sempre cercare una motivazione razionale o logica a ciò che ti accade? Ascolta e basta e vivi l’esperienza che ti sta succedendo senza chiederti perché o ma…

Nella tua bisaccia la prima cosa che ci puoi trovare, è la scatola della saggezza… quella serve per decidere quando ne hai bisogno, di fare la scelta giusta e ti permette di capire quali sono le risorse che hai dentro e decidere da solo. È il sesto senso o chiamalo pure il vostro inconscio, il grande risolutore dei problemi sempre in grado di tirarvi fuori dal pelago…

Frugando ancora nella saccoccia, ci troverai il secondo artefatto, la chiave d’oro. Essa consente di attivare la curiosità per vedere oltre, per poter esplorare altre possibilità. Vedete, voi umani fate spesso sempre le stesse cose, vi ancorate ad abitudini che vi fanno comodo, ma non sono per nulla adatte a esprimere la versione migliore di voi, il solo modo per realizzare la vostra felicità. Fate sempre gli stessi tracciati, seguite sempre gli stessi binari, gli stessi spostamenti, precludendovi di esplorare altre possibilità. Non vi chiedete mai… e se potessi, e se ci fosse un’altra possibilità o opportunità? Invece è ciò che si dovrebbe assolutamente fare. Meglio sbagliare strada perché abbiamo percorso un tracciato nuovo, ma aver scoperto qualcosa di nuovo, con qualche rischio corso e superato, piuttosto che seguire sempre le stesse traiettorie che non vi portano a nulla di entusiasmante.

Puoi frugare ancora nella bisaccia perché i doni non sono ancora finiti… ecco che troverai il terzo artefatto magico. Il bastone del coraggio. Quante volte hai pensato di non riuscire a prendere l’azione, ad affrontare una prova e poi invece l’hai superata con successo? Puoi prendere in mano il bastone del coraggio quando hai bisogno di agire in merito a una situazione, quando vuoi aprire una porta. Ti sarà sicuramente accaduto di sperare che qualcuno ti spingesse fuori dalla porta per fare qualcosa di cui tu avevi paura… Bene, col bastone del coraggio, puoi affrontare qualsiasi nuova sfida. C’è un detto: quando la paura bussa alla porta, il coraggio va ad aprire e non trova nessuno. Se tu prenderai in mano il bastone del coraggio, chiudendo magari gli occhi per immaginare l’azione che stai compiendo, potrai dire: adesso sono in grado di fare questa cosa.

Un altro tool che troverai nella bisaccia, è una bacchetta magica. Non ridere, non smettere di ascoltarmi. Arriva alla finale di questa storia. Sono un cane, non sono un essere umano che potrebbe raccontarti delle fandonie. Se riuscirai a superare questo scoglio e ti fiderai di me, avrai già quasi vinto la tua battaglia. Significa che avrai capito che il segreto di tutto sta solo ed esclusivamente dentro di te.

Ma torniamo alla bacchetta magica. Se immagini di agitarla, puoi chiedere qualsiasi cosa senza per forza dare spiegazioni a qualcuno. Nessuno ti prenderà in giro e potrai desiderare qualunque cosa, anche quelle che non hai mai avuto il coraggio di chiedere a nessuno. Ovviamente nei limiti  del genere umano. Ti assicuro che le prestazioni che potrai ottenere, ti sorprenderanno.

Poi la bisaccia delle tue potenzialità ti mette a disposizione un cappello da detective. Ti permetterà di investigare, in combinato disposto con la chiave d’oro, qualsiasi enigma ti si presenti. Il cappello ha anche un’altra funzione, quella di evitare i pregiudizi, di dare un senso alle azioni degli altri e alle persone senza giudicare.

Siamo quasi alla fine dei doni che puoi scovare nello zaino che possiedi dietro la spalla sinistra, che voi umani dimenticate spesso di avere e di utilizzare, perché non ha un peso empirico, ma ha un peso esistenziale. Ecco, è il medaglione del si o del no. Immagina di indossarlo e di posizionarlo in base alla risposta che ti sei voluto dare a una domanda o a uno stimolo che ti ha incuriosito. Per esempio, se vuoi assolutamente capire come puoi coltivare un tuo talento, immagina di mettere il medaglione dalla parte del sì e vedrai che troverai le risorse, la forza e le occasioni che attirerai a te involontariamente per arrivare a dire “sì”! ce l’ho fatta!

Per cui se hai una scelta difficile da fare, che sia no o sì la tua decisione, con il medaglione troverai la forza di portare avanti quella scelta.

Siamo arrivati all’ultimo oggetto. Si tratta di un cuore. Basterà tenerlo in mano con ispirazione per tornare a godere di momenti di felicità.

Dovete smetterla di pensare che sia il modello di realtà che state vivendo, a decidere i vostri stati d’animo. Che cosa il mondo pensa di voi, non ha alcuna importanza! Dovete imparare a dire: se io sono fatto così, se quell’emozione che sento mi da degli stimoli, ho il diritto di coglierne la ricchezza.

Siamo giunti al termine del nostro viaggio intorno agli oggetti magici che l’universo ci mette a disposizione. Impara a visualizzare questi strumenti. Ricorda che ‘decido’ deriva da un verbo che significa tagliare. Quindi decidere vuol dire “taglio con qualcosa e inizio con qualcos’altro di nuovo”.

Le risorse per risolvere i problemi le dovete cercare in voi stessi e per trovare quelle risorse, spesso nascoste sotto una coltre di cenere del vostro io, potete utilizzare quegli strumenti che ti ho elencato.

Se per esempio decidi di pescare il bastone del coraggio e pensi a un momento della tua vita in cui hai fatto una scelta coraggiosa e hai vinto, vedrai che vincerai anche la sfida che stai affrontando nel tuo presente.

Se imparerai ad accoppiare ognuno di questi strumenti a un evento positivo che ti è accaduto e che hai superato, potrai applicare lo stesso tipo di strumento a qualsiasi situazione che ti troverai ad affrontare in futuro.

L’unico limite che hai (e che avete voi umani), è quello che ti poni tu stesso in questo momento. Hai molte più risorse di quelle che pensi di avere. Alla fine siete tutti maghi che vivete nella vita reale e che potete fare i ‘miracoli’ nella vita reale.

A quel punto il signoreconfuso alza lo sguardo al cielo per un attimo, perché non riusciva a creder a quanto stesse accadendo. Pensava di essersi addormentato e di avere fatto un sogno. Poi, sentendo che il calore esercitato dal cane sulle sue tibie era svanito, tornò ad abbassare lo sguardo e si accorse che il cane si stava allontanando.

Lo guardò scomparire nella vastità del parco, si toccò la spalla sinistra, si mise a sorridere, con uno spirito di rivincita sui pensieri confusi che lo avevano accompagnato a restare solo in quella panchina. Non che gli fosse tutto chiaro, ma sentiva di avere ricevuto un segnale, una risposta. Quell’aiuto era arrivato semplicemente perché aveva accettato di mettersi nelle mani di qualcosa che c’è sopra di noi, un flusso di energia universale che se vogliamo, è sempre lì dietro l’angolo pronto a intervenire. Basta smettere di cercarlo.

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16Apr

Affrettiamoci lentamente

16 Aprile 2020 silvia Racconti 12

Affrettiamoci lentamente (festina lente)

Ho letto un interessante saggio di Lamberto Maffei, professore dell’istituto di Neuroscienze del CNR della scuola Normale di Pisa, nonché presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei. ELOGIO ALLA LENTEZZA.

Mai come in questo tempoaltro, torna utile la sua lucida e comprovata analisi che l’essere umano non è programmato per la velocità. Non stupisca dunque, il “festina lente” eletto a inviato della mia personale e professionale ‘incarnazione’.

Il cervello è una macchina lenta, ma la velocità del mondo con il suo tempo forzatamente zippato, ci costringe a rispondere in tempi brevi a mail, post, messaggi. Siamo iper-sollecitati da una quantità innumerevole di immagini che ci catapultano in una frenesia cognitiva e visiva che provoca frustrazione e affanno. In queste settimane di arresti domiciliari, costretti a restare giorni e giorni in un luogo fisso, quanto è stato difficile educare noi stessi a ritmi diversi?  Quante volte abbiamo rimpianto la ordinaria frenesia, nonostante si fosse spalancato un varco semantico legato alla revisione delle nostre vite, alla ricerca di un’introspezione dimenticata, al riconoscimento di valori perduti?

La felicità suprema del pensatore è sondare il sondabile e venerare in pace l’insondabile, diceva Goethe. Il cervello umano è una macchina meravigliosa e complessa che merita di essere esplorata, perché può far chiarezza sulle anomalie che un attento fruitore e osservatore del genere umano, registra.

I così detti “uomini rapidi”, gli schiavi del mondo altamente tecnologizzato in cui siamo immersi, riusciranno a vincere sull’evoluzione della specie?

Se il sistema lento e quello rapido non trovano un equilibrio si avrà il risultato di un minor controllo sul comportamento. Che fine farebbe la funzionalità dell’amigdala, quel complesso nucleare, grande come una mandorla posto nei pressi del lobo temporale che governa le emozioni e in modo particolare la paura?

“Il successo evolutivo degli uomini rapidi porterebbe alla scomparsa di tutte le azioni considerate inutili, come la contemplazione, la poesia, la conversazione per il piacere di parlare e la comparsa di una nuova arte, quella della rapidità dove la poesia è un tweet e la pittura una pennellata”.

Non traggo conclusioni. Dico soltanto che mi hanno obbligata a fermarmi, ho avuto paura di farmi legare al palo della mia nave come Ulisse per non cedere al canto delle sirene, ho superato una parte del viaggio, ho fatto mio il festina lente e ho capito che questa è la direzione giusta. Troppe cose accadute per caso stanno confermando un’intuizione potente e persistente che non riuscivo a tradurre in azione.

Attendo il momento in cui potrò ancora assaporare la bellezza e l’armonia di un’opera d’arte in una mostra, di un museo sconosciuto, di un concerto, di una rappresentazione teatrale e lo farò in modo del tutto nuovo, con la consapevolezza che “la pazienza è la più eroica delle virtù giusto perché non ha nessuna apparenza eroica” (Giacomo Leoprardi). Affrettiamoci lentamente.

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16Apr

Asfodelo e il cappello di paglia

16 Aprile 2020 silvia Racconti 14

silvia

Asfodelo. Chi guarda all’esterno sogna, chi guarda all’interno si risveglia. Cosa avrà mai voluto dirmi il vecchio professore mago, senza cappello in testa, senza bacchetta di legno di agrifoglio, con la sua voce molto baritonale e lo sguardo indagatore?

C’è una grande differenza tra sognare e risvegliarsi. A meno che non si faccia a occhi aperti, sognare è un’attività attribuita allo stato di non veglia. Risvegliarsi indica non il passaggio da uno stato di sonno a quello di veglia, ma fa riferimento a una ri-nascita.

Da giorni sondo nel fondale del mio io e non è che ci trovo un gran che da fare. Mi manca molto il mio rifugiarmi nel bello dell’arte. Soffro di anoressia di immaginazione, di mancanza di serotonina, quell’ormone che predispone al buon umore e alla gioia.

Così, senza capire perché, ma facendolo solo per regalarmi un momento di libertà senza vincoli di razionalità, costume, cultura, posizione da preservare, ho richiamato il mio io essenziale, quello che non vogliamo far vedere a nessuno, quello sommerso da una coltre di cenere di anni di indifferenza da parte nostra e gli ho chiesto udienza. Ho avvisato il mio io intermedio, quello che di noi non vogliamo far vedere agli altri, di togliersi il mantello dell’invisibilità. Infine, ho parlato all’io di superfice, quello che recita una parte a seconda delle circostanze, quello che finge di essere, quello che recita di fronte agli altri, di tacersi per un bel po’. E ho trovato Asfodelo!

Gli ho chiesto di mettersi il cappello come me. Il suo era un berretto instabile nero, il mio invece era un cappello di paglia, quello che il contadino mette in testa agli spaventa passeri che tengono lontani gli uccelli predatori dai suoi campi.

 Venerdì Santo. Pronti per lo spettacolo, in piedi nel mezzo di un pezzo di notte, con una luna in apogeo, grande più del mio viso, che sembrava muoversi, io e Asfodelo sul piano domestico, contempliamo la sera.

Intorno un silenzio lacerante per quell’ora presta della sera. La punta del campanile a vela della parrocchiale, illuminato nell’antro che ospita le campane, imponeva la sua luminosità nuova nel buio circostante, tanto da renderne sospesa la parte superiore. Con il colle dietro, nero come la pece, la sua sospensione immobile, mi ha fatto trattenere il fiato. Era come se il campanile fosse appeso al mio respiro e al mio prossimo espiro, sarebbe caduto.

Venerdì Santo, senza processione, senza i lumini nei davanzali per la via crucis. Il passaggio, sia laico che religioso è stato silente e senza luce come la morte. Niente avrebbe potuto esprimere meglio di quell’atmosfera sospesa, il significato religioso della ricorrenza.

Eppure sono anni che fuori da casa mia, ritrovo quell’immagine. Eppure non avevo mai notato il campanile sospeso nel buio, come una grande lanterna sorretta dal cielo, quell’inquadratura della sospensione estrema nell’ora della preghiera per la morte di Cristo, sacrificato per salvare l’uomo. Quell’uomo bulimico di rapine e anoressico di immaginazione, che sa guardare solo all’esterno per sognare e che rifiuta l’introspezione per risvegliarsi.

Così, do una pacca sulla spalla ad Asfodelo che non si gira nemmeno, incantato da quella magia che non l’aveva fatta lui, ma che gli avevo proposto io. -Senti tu, ci scriviamo una poesia su questa foto? Che ci fate lì, campane in lutto per il venerdì di Pasqua? Che avete fatto alla luce? Muovete le sospensioni galleggianti parcheggiate sul fondo dell’abisso che dopo oltre un mese di arresti domiciliari, ha cominciato a bollire come nel calderone gorgogliante di qualche incantesimo, riportando a galla un bel po’ di macerie che aspettano di essere definitivamente scartate-.

E quel nero che ricorda lo sfondo dei quadri di Caravaggio e il mantello che Pilato poggiò sulle spalle del Cristo insieme alla corona di spine per proclamare davanti alla folla inneggiante la sua crocifissione, il re dei Giudei, si faceva sempre più scena per un dramma raccontato…

-Sai vecchio, da piccola e anche poi da giovane, quando ero chiamata alla liturgia del venerdì santo, ho sempre sperato dentro di me che il sacerdote pronunciasse che Cristo era sopravvissuto! Niente cielo oscurato, niente notte in pieno giorno, niente donne che piangono sotto la croce. Niente di tutto quello che ci hanno tramandato. “Cristo non spirò”. Mi dicevo: questa volta ti salvi Gesù, in barba a tutta l’umanità! Vero che poi c’era la resurrezione, un dogma troppo grande per me piccola. Risorto o no, Cristo per me era un grande e meraviglioso uomo che è morto a 33 anni, troppo giovane per finire di fare il profeta. Punto. Non ridere Asfodelo, io vado fiera di questa fervida immaginazione condita di una speranza che in questo momento è meglio ripescare e ritrovare-.

Ero affascinata da quel rito. Mi facevo il mio bellissimo film con finale a sorpresa: Gesù non è spirato, sarebbe sceso dalla croce e avrebbe cambiato la storia. La sua mamma era felice insieme alla Maddalena dai capelli di vento. Niente lacrime, niente dolore. Solo una grande gioia. Niente estrema unzione, niente incenso, niente fiori per il funerale. Solo una grande e nuova speranza.

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01Apr

Penso col cappello marrone

1 Aprile 2020 silvia Racconti 13

silvia

Penso con cappello marrone

Agire. A guardar bene, fare è diverso da agire. Fare è un’azione proiettata al prodotto, agire è un’azione che porta al soggetto che si dà una scelta e una meta. All’inizio del tempostrano avevo trovato che farefarefare mi aiutava moltissimo… il miglior rimedio alla detenzione e al fermo professionale.
Dopo un mese? Non è ancora passato un mese, ma il peso della reclusione rende i giorni tutti uguali, le cose da fare, già tutte fatte, gli esperimenti esperiti, l’introspezione eseguita, i piani per il temponuovo fatti… Oggi mi metto il cappello marrone che non aiuta a cambiare i pensieri, non mi porta al qui e ora, non mi fa cambiare sistema operativo. Mi porta semplicemente lontano, standomene ferma sullo sgabello posturale della mia scrivania che è in realtà una tavola riciclata con un panno verde da gioco, ottimo per far scorrere il mouse, con gli occhiali da vista che scendono continuamente dal naso, impedendomi di vedere, perché sono rotti. Da una settimana combatto con questi oculi de vitro cum capsula, come li chiama Umberto Eco nel Nome della rosa. Prima lo scotch, poi l’elastico da mutande (non avevo altro in casa) legato alle stanghette e passato intorno alla testa per non farli scendere. Le attività di ottica sono chiuse ovviamente… già è tutto una situazione non facile, toglietemi anche la possibilità di leggere e scrivere… perdo il controllo e piango.
Perché? E’ saltato l’automatismo sociale e la capacità di accettare che va ridefinito il ritmo della vita e va accolta la fragilità, senza vergogna né diniego.
Ho sempre considerato la mia fragilità come l’avamposto entro cui mi esiliavo per osservare con occhi estraniati ciò che succedeva. Quasi un dogma che mi imponeva di guardare non ciò che stava accadendo, ma quello che avrei potuto fare con ciò che stava accadendo. Il tempostrano mi ha fatto conoscere una fragilità che assomiglia alla sconfitta della ragione rispetto a qualcosa che è fuori di noi e che è difficile da controllare e da regolare lungo i sentieri che siamo abituati a percorrere.
#andràtuttobene. Non raccontiamoci promesse fragili. Il cappello marrone, il Borsalino del nonno Davide, con cinturino o puggaree nero di seta pesante, con un fiocco alla sinistra, appoggiato sul bastone da passeggio, mi dice che la memoria è continuamente divorata dal qui e ora. E con questo cappello in testa, oggi mi prendo una pausa dal vivere il presente, pianificare strategie, agire per il cambiamento… perché i programmi sono cambiati.
Mi vesto di un qui e ora proiettato fuori dalle malesorti, perché, non raccontiamoci nemmeno cose fragili, l’idea punitiva che le disgrazie ci rendano migliori, non è una verità.
In questo momento sento la mano nodosa del nonno Davide tenere la mia, mentre si andava a passeggiare verso la chiesa in un pomeriggio di primavera. E’ una mano ruvida da falegname con al centro una gibbosità che poi mi fu spiegato essere dovuta a una fibromatosi palmare superficiale, detta morbo di Dupuytren, malattia molto comune tra i falegnami. Devono anche averlo operato successivamente, ma la presa lieve di quella mano importante, martoriata da un lavoro usurante, la sento ora come un tempo.
Davide aveva le mani scabre, ornate di nodi di Dupuytren, svigorite dal lavoro e dall’età, ma nessuno sapeva tenermi per mano in quel modo dolce/ruvido che ricordo con nitidezza e che era lontano dalla tenuta serrata della mano di mia madre che temeva potessi scapparle in mezzo alla strada, da quella di tutti gli altri che non ricordo, perché avevo solo quattro anni.
Previsioni. Il tempoaltro che verrà, sarà vissuto da ciascuno in maniera diversa. La solidarietà, l’amore e il rispetto che abbiamo contemplato come valori in questo tempostrano, sono una cosa bella ma non potranno essere il frutto espiatorio di un senso di colpa. La natura ha fatto un esperimento su di noi nella speranza che noi raccogliessimo la sfida per diventare migliori. Perché la nostra hibris ha prodotto gli effetti del tempostrano, la superbia, gli eccessi, il prevaricare su un ordine naturale, già assai provato, ha causato  ciò che stiamo risarcendo ora. E non basterà.
Il tempoaltro produrrà effetti in base a quanto noi creature, avremo saputo socializzare con la nostra fragilità. Questo ‘rompere’ continuo e riaggiustare come possiamo, è un compito che richiede energie e creatività. ‘Dispositivi’ che sono messi a dura prova, almeno per chi indossa il cappello marrone, ripescato nel baule della soffitta, strigliato dalla polvere del tempo, arieggiato al sole troppo tiepido di questi giorni che invochiamo farsi avanti tra le nuvole sparse che infrangono un cielo timido di azzurro.
Adoro questo cappello, perché la sua vita è imparentata con la ‘friabilità’ di questo momento, dove non si sa per quanto, per come, ma soprattutto dove, ci porteranno i suoi innegabili effetti collaterali.
Fiori di cotone. Se alla nostalgia del ritrovato cappello marrone, aggiungiamo un goccio di essenza di fiori di cotone, quella morbida e ovattata fragranza che richiama l’aroma di pulito delle lenzuola appena stese della nonna Carmela, ecco un “qui e ora” che per un po’ mi porterà lontano.
Profumo di cipria e soavità distanti, il senso olfattivo mi regala un abbraccio materno. Quello che non ho, che non possiamo avere in questo momento. E il cappello marrone del nonno con il profumo profuso dall’ovetto sparaessenze di vetro, posto provvisoriamente sopra uno sgabello di legno a tre piedi e base rotonda, divenuto compagno essenziale in questo Armaggedon che pare non trovare fine, diventa il passaggio dallo stargate che ho oltrepassato proprio qui difronte a me.

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20Mar

Penso col cappello indaco

20 Marzo 2020 silvia Racconti 15

silvia

Penso col cappello indaco (Foto di Arcangelo Piai)

I pensieri sono cose.  In questo periodostrano ho avuto la conferma che il nostro pensiero va osservato e monitorato con molta attenzione. Va organizzato in progetti e infine i progetti e le idee vanno trasformati in realtà. In sintesi tutto ciò che vogliamo fare e come lo vogliamo realizzare, nasce dalla nostra immaginazione. Ecco perché i pensieri sono cose e hanno un potere poderoso (nel bene e nel male) sul governo della nostra vita. Insomma, il successo dipende da ciò che pensiamo, perché siamo quello che pensiamo.

Con questa premessa ho voluto precisare, qualora non fosse chiaro, il perché io abbia deciso di indossare cappelli di colore diverso, ogni qualvolta non riesco a governare i miei pensieri.

Passa una notizia con la conta quotidiana dell’emergenza;

pensiero ricorrente: “voglio andare via…”;

metto il naso fuori e vedo le maschereconiguanti aggirarsi per strada o come stornelli avvicinarsi alla porta delle botteghe, spiare dentro per poi allontanarsi e riprendere le distanze di sicurezza. Quando sarà finita?

Cose stranissime accadono e io mi infilo il cappello indaco, per entrare in una dimensione diversa, per continuare a mettermi cappelli diversi, per controllare l’inquietudine, per tenere lontana la paura. Se sgarro poi, la mia amica che lavora sul corpo eterico (in sintesi è tanto avanti…), che medita per sé e per tutti noi, che sicuramente vede la sua luce interiore, mi tira le orecchie.

Nel mio cammino evolutivo di ricerca, sono allo studio della mente e di come questa possa influenzare il nostro destino.  Sul resto ci credo, perché le do ragione. Ci stiamo sbattendo per la stessa identica finalità: il bene nostro, quello del prossimo e quello generale, nella ricerca di diventare la migliore versione di noi.

Il cappello indaco. Siamo noi i padroni dei nostri pensieri. Solo a noi spetta cosa regalare alla nostra mente. I miei cappelli per pensare sono morbidi, senza la rigidità che è l’unico vero tratto distintivo della stupidità. E tanto più questi pensieri saranno lontani dalla malinconia, tanto più i nostri atteggiamenti si riveleranno forieri di tranquillità. I cappelli per pensare servono a rafforzare l’intenzione di voler governare i nostri pensieri. Non è che dobbiamo diventare tutti dei pensatori. E’ una capacità operativa. Se penso, produco idee che posso trasformare in progetti e in cose da fare.

Sapete, io sto provando con tutte le mie forze a trovare il modo per avvolgervi mentre scrivo, di lambirvi con le mie parole, di emozionarvi e farvi apprezzare ciò che siete e che avete dentro di voi. So bene che non è facile, che le regole Zen sono semplici da scrivere, ma difficili da attuare.

Per questo ho inventato la storia dei cappelli, perché i cappelli trasformano l’intenzione in attuazione. Avevo bisogno di uno espediente tangibile. I cappelli appunto.

In questo tempostrano mi sono accorta di quanto sia semplice apprendere e farsi trascinare dal cambiamento. Cambiamento anche interiore, parola che nelle logiche dei più, provoca tanto prurito. Una cara amica l’altro giorno al telefono, dopo avermi mandato la foto della sua nuova casa (ha rilevato la magione di famiglia dove sono nati i suoi nonni, il padre e lei stessa) che sta ristrutturando pian piano, mi ha detto che vivere lì, era sempre stato il suo sogno, ma quando ha iniziato ad abitarci, ha provato una gioia più grande di quella che avevo sognato. La realtà ha superato l’immaginazione del sogno. E i sogni si avverano se i nostri sono desideri ardenti, se ci battiamo a pensare che tutto di noi deve andare nella direzione del sogno! E se riusciamo in questo, senza mai mollare, senza dire alla terza caduta: “non ce la posso fare”, ma rialzandoci sempre ben disciplinati a raggiungere l’obiettivo, otterremo ciò che vogliamo. Ricordiamoci che sono proprio le cadute e le risalite a renderci migliori.

Periclitante. Mi imbatto in un aggettivo poco conosciuto. C’è più che mai bisogno in questo momento di non tornare sempre sugli stessi termini. Mi è circolato intorno e per l’appunto pensavo che c’entrasse con “l’andare intorno”. Invece c’entra col pericolo… Infatti vuol dire “essere in pericolo” (dal verbo latino periclitari, correre grave pericolo). Io ho pensato a perigeo, perielio… Perché istintivamente ho evitato anche solo di avvicinarmi a una parola ‘pericolosa’ di questi tempi? Perché mi sono messa il cappello indaco.
Provo a raccontarvi che se certe cose dobbiamo dircele solo tra persone che in qualche modo o da qualche parte stanno intraprendendo un percorso di evoluzione e di crescita personale, le cose non si modificheranno gran che. Io non la vedo ancora la mia luce interiore. Di questi tempi poi… però è commovente pensare che ci sta una luce nuova da qualche parte dentro di noi, che ci parla e ci racconta nuove verità.
C’è che è difficile disarcionare ciò che è diventato a noi familiare, consono, usuale… dobbiamo cambiare il nostro abito mentale se vogliamo andare lontano.
Cinestesico. In PNL (programmazione neurolinguistica) gli esseri umani nel ricevere e nel rendere il messaggio comunicativo, sono suddivisi in tre macro categorie: visivi, uditivi, cinestesici. I visivi sono coloro cui i messaggi arrivano se la comunicazione è fatta attraverso immagini (slides, video, foto, racconti di visioni ecc); gli uditivi hanno bisogno per recepire un messaggio, di ascoltare una bella voce, di avere della musica di sottofondo, eccetera; i cinestesici necessitano della materia tangibile per recepire il messaggio. Da ciò, bisogna fornire loro il progetto su carta o il manuale cartaceo o il blocco su cui scrivere. Hanno bisogno del contatto, di toccare le cose. Di questi tempi sono la categoria che sta soffrendo di più. Niente strette di mani, niente pacche sulla spalla, niente abbracci… A tal proposito sono andata a cercare un frase di Virginia Satir che non ricordavo a memoria, il cui significato però è assai più ampio… è tratta dalla poesia Quello a cui miro. “Voglio amare senza stringere, valutare senza giudicare, unirmi a te senza invadere, invitarti senza pretendere”… Valida ora, ma facciamola nostra sempre.

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