Penso col cappello verde
Dieci marzo duemila venti. Stop.
Finito di correre, di agitare ogni cosa per farla ‘fruttare’. Credo stia accadendo il momento che mai avremo immaginato. Mi sono detta un sacco di volte che avrei dovuto rallentare. Ci ho provato sul serio e mi sono persino licenziata da un lavoro sicuro per preservarmi. Ho abbracciato il cahos per cambiare, ma mi sono ritrovata quasi più invischiata di prima.
Dovevo frenare di nuovo. Ci ha pensato un virus a fermarmi, a fermarci tutti. Metafora ovviamente. Specifico, perché di questi tempi non si sa mai. Sto benissimo e continuerò a stare bene e a fare un sacco di cose belle, senza farle per forza fruttare. Ci sarà una grande ripresa e cavalcheremo l’onda del successo! Questo è l’atteggiamento giusto per stimolare le endorfine e attivare la chimica del benessere per rafforzare gli anticorpi.
Ora tutti a casa! E’ arrivata la risposta a una concentrazione di pensieri uguali.
E’ ora di raccogliere l’oro che ci troviamo tra le mani.
E’ ora di imparare a muoverci e di apprezzare quelle cose che ‘ora’ ci sono inibite.
E’ tempo di reazione. Poiché sono convinta che tutto è presente e nel presente la paura non funziona.
E’ tempo di riscoprire il senso di collettività che (dai, siamo sinceri) abbiamo perso!
Si sta male da soli, costretti a essere isolati! Non poter condividere emozioni, gioie, pensieri, è drammatico!
Ora però è tempo di riscoprire che con una telefonata o una video chiamata, si può vivere l’emozione.
E’ ora di riaprire i bauli dei giochi o delle foto, di tornare a scrivere il diario (io ne ho tre da sempre. Non ho mai smesso di scrivere su almeno tre universi vergini alla volta).
E’ ora di leggere i libri impilati sul comò.
E’ ora di guardare di più il cielo e di spostare le nuvole. Di trovare un nostro centro diverso da quello dell’altro ieri. Niente baci o abbracci, ma parole misurate al posto giusto e al momento giusto e non vomitate addosso o sputate sul web. Mettetevi la mascherina per cortesia, ma non per proteggervi dal covis 19, perché ora dovete stare a casa, ma per non rigurgitare corbellerie.
E’ ora di capire quanto sia pesante non poter stringere una mano, non potersi avvicinare a chi si ama per proteggerli dal nemico.
Ora, un metro di distanza è una forzata linea di confine che mi allontana dal mio prossimo.
Non vi dà fastidio dover parlare a un metro di distanza dalle persone? A me no, perché la mia voce è impostata da palcoscenico per cui il mio diaframma spinge un po’ di più, ma mi sentono forte e chiaro anche se fossero tre, i metri di distanza.
Ora impareremo a stare più attenti. Domani, quando tutto sarà quieto, non saremo più come prima.
Ora abbiamo capito quanto siamo fragili, quanto legati ad abitudini malsane, quanto male ci stiamo facendo. Lo so che è più comodo essere pessimisti. Rassegnarsi a dare la colpa agli altri.
Qui e ora, paghiamo tutti e non si tratta di chi più o chi meno. Si tratta che siamo tanti, che siamo irragionevoli, che dobbiamo cambiare. Quindi, a chi l’ha presa drammaticamente e per paura di morire di fame, vola all’accaparramento dei viveri e dei farmaci dico: smuoviti dal tuo torpore, dal tuo letargo, esci dalla caverna uomo e CAMBIA destinazione. Agire è l’unico rimedio alla paura. “Nel qui e ora, la paura non esiste, perché arriva quando si pensa al passato o supponendo scenari futuri che non hanno certezza comprovata di accadere. Dobbiamo rimanere carichi di risorse e, nell’attesa che l’inverno finisca, prepararci per l’arrivo della nuova stagione. Alleniamoci per mettere in campo nuove abitudini, decidiamo di abbracciare il cahos. Usciamo dalla zona di benessere (comoda per molti) in cui siamo stati ancorati fino a qualche giorno fa e ci ritroveremo in uno status quo più alto, in un mondo straordinario dove potremo mettere a fuoco nuove competenze e nuove proposte”. Cito l’esortazione che Nicola Zema, il coach dello sblocco, ha rilasciato su youtube. A presto e vi racconterò una storia interessante.