Penso col cappello marrone
Penso con cappello marrone
Agire. A guardar bene, fare è diverso da agire. Fare è un’azione proiettata al prodotto, agire è un’azione che porta al soggetto che si dà una scelta e una meta. All’inizio del tempostrano avevo trovato che farefarefare mi aiutava moltissimo… il miglior rimedio alla detenzione e al fermo professionale.
Dopo un mese? Non è ancora passato un mese, ma il peso della reclusione rende i giorni tutti uguali, le cose da fare, già tutte fatte, gli esperimenti esperiti, l’introspezione eseguita, i piani per il temponuovo fatti… Oggi mi metto il cappello marrone che non aiuta a cambiare i pensieri, non mi porta al qui e ora, non mi fa cambiare sistema operativo. Mi porta semplicemente lontano, standomene ferma sullo sgabello posturale della mia scrivania che è in realtà una tavola riciclata con un panno verde da gioco, ottimo per far scorrere il mouse, con gli occhiali da vista che scendono continuamente dal naso, impedendomi di vedere, perché sono rotti. Da una settimana combatto con questi oculi de vitro cum capsula, come li chiama Umberto Eco nel Nome della rosa. Prima lo scotch, poi l’elastico da mutande (non avevo altro in casa) legato alle stanghette e passato intorno alla testa per non farli scendere. Le attività di ottica sono chiuse ovviamente… già è tutto una situazione non facile, toglietemi anche la possibilità di leggere e scrivere… perdo il controllo e piango.
Perché? E’ saltato l’automatismo sociale e la capacità di accettare che va ridefinito il ritmo della vita e va accolta la fragilità, senza vergogna né diniego.
Ho sempre considerato la mia fragilità come l’avamposto entro cui mi esiliavo per osservare con occhi estraniati ciò che succedeva. Quasi un dogma che mi imponeva di guardare non ciò che stava accadendo, ma quello che avrei potuto fare con ciò che stava accadendo. Il tempostrano mi ha fatto conoscere una fragilità che assomiglia alla sconfitta della ragione rispetto a qualcosa che è fuori di noi e che è difficile da controllare e da regolare lungo i sentieri che siamo abituati a percorrere.
#andràtuttobene. Non raccontiamoci promesse fragili. Il cappello marrone, il Borsalino del nonno Davide, con cinturino o puggaree nero di seta pesante, con un fiocco alla sinistra, appoggiato sul bastone da passeggio, mi dice che la memoria è continuamente divorata dal qui e ora. E con questo cappello in testa, oggi mi prendo una pausa dal vivere il presente, pianificare strategie, agire per il cambiamento… perché i programmi sono cambiati.
Mi vesto di un qui e ora proiettato fuori dalle malesorti, perché, non raccontiamoci nemmeno cose fragili, l’idea punitiva che le disgrazie ci rendano migliori, non è una verità.
In questo momento sento la mano nodosa del nonno Davide tenere la mia, mentre si andava a passeggiare verso la chiesa in un pomeriggio di primavera. E’ una mano ruvida da falegname con al centro una gibbosità che poi mi fu spiegato essere dovuta a una fibromatosi palmare superficiale, detta morbo di Dupuytren, malattia molto comune tra i falegnami. Devono anche averlo operato successivamente, ma la presa lieve di quella mano importante, martoriata da un lavoro usurante, la sento ora come un tempo.
Davide aveva le mani scabre, ornate di nodi di Dupuytren, svigorite dal lavoro e dall’età, ma nessuno sapeva tenermi per mano in quel modo dolce/ruvido che ricordo con nitidezza e che era lontano dalla tenuta serrata della mano di mia madre che temeva potessi scapparle in mezzo alla strada, da quella di tutti gli altri che non ricordo, perché avevo solo quattro anni.
Previsioni. Il tempoaltro che verrà, sarà vissuto da ciascuno in maniera diversa. La solidarietà, l’amore e il rispetto che abbiamo contemplato come valori in questo tempostrano, sono una cosa bella ma non potranno essere il frutto espiatorio di un senso di colpa. La natura ha fatto un esperimento su di noi nella speranza che noi raccogliessimo la sfida per diventare migliori. Perché la nostra hibris ha prodotto gli effetti del tempostrano, la superbia, gli eccessi, il prevaricare su un ordine naturale, già assai provato, ha causato ciò che stiamo risarcendo ora. E non basterà.
Il tempoaltro produrrà effetti in base a quanto noi creature, avremo saputo socializzare con la nostra fragilità. Questo ‘rompere’ continuo e riaggiustare come possiamo, è un compito che richiede energie e creatività. ‘Dispositivi’ che sono messi a dura prova, almeno per chi indossa il cappello marrone, ripescato nel baule della soffitta, strigliato dalla polvere del tempo, arieggiato al sole troppo tiepido di questi giorni che invochiamo farsi avanti tra le nuvole sparse che infrangono un cielo timido di azzurro.
Adoro questo cappello, perché la sua vita è imparentata con la ‘friabilità’ di questo momento, dove non si sa per quanto, per come, ma soprattutto dove, ci porteranno i suoi innegabili effetti collaterali.
Fiori di cotone. Se alla nostalgia del ritrovato cappello marrone, aggiungiamo un goccio di essenza di fiori di cotone, quella morbida e ovattata fragranza che richiama l’aroma di pulito delle lenzuola appena stese della nonna Carmela, ecco un “qui e ora” che per un po’ mi porterà lontano.
Profumo di cipria e soavità distanti, il senso olfattivo mi regala un abbraccio materno. Quello che non ho, che non possiamo avere in questo momento. E il cappello marrone del nonno con il profumo profuso dall’ovetto sparaessenze di vetro, posto provvisoriamente sopra uno sgabello di legno a tre piedi e base rotonda, divenuto compagno essenziale in questo Armaggedon che pare non trovare fine, diventa il passaggio dallo stargate che ho oltrepassato proprio qui difronte a me.