Penso col cappello rosa
Penso col cappello rosa (Foto di Arcangelo Piai)
Vincerò. Passando in bicicletta mentre andavo a prendere il pane, mi ha distratta dai soliti pensieri dei mascheraticoiguanti, dal fastidio di auto che continuavano a circolare numerose (significa che tutte quelle persone da qualche parte sono andate), dal disagio di questo tempo strano, a volume da concerto allo stadio, l’aria del “Nessun dorma” della Turandot di Puccini. Mi sono fermata per capire da dove provenisse la musica… un terrazzo, due casse grandi. Non ho visto altro. Ho soltanto apprezzato, ascoltato per un po’ e poi canticchiato fin dal fornaio… il mio mistero è chiuso in te, il nome mio nessun saprà, sulla tua bocca lo dirò quando la luce splenderà. … guardo le stelle che tremano d’amore e di speranza… e il mio bacio scioglierà il silenzio che ti fa mia, dilegua o notte, tramontate, stelle! All’alba vincerò! Non sono sicura che sia proprio così… vado a memoria e non voglio controllare su google… io le ho fissate così, sono una ritrovata emozione, spero che lo siano anche per voi! Certo che questo tempostrano ci sta regalando cose imprevedibili. Tanto imprevedibile è stata la bomba, quanto lo stanno diventando le cose che accadano come effetto della bomba.
Visoni. Procedendo per la via direzione panetteria, passo obbligata davanti alla casa che fu di mia nonna Rosa. Sussurro l’aria “ma il mio mistero è chiuso in me…” mi piace proprio questo mistero chiuso… che poi io lo immagino cantato da Pavarotti che era un armadio a sei ante e mi sono sempre detta: quanto grande deve essere quel mistero se lo contieni dentro la tua mole antonelliana del tuo essere il più grande tenore mai esistito… e viaggio nel mistero chiuso in me… quale mistero ho io chiuso in me? Mi rispondo che dopo provo a cercarlo e magari ve lo racconto tra qualche giorno… ah, no ma non posso svelarvi chi sono, perché il nome mio nessun saprà. Guardo le stelle che tremano di speranza… E intravedo una figura alla finestra dove la Rosa sempre soleva appostarsi per salutarmi quando me ne andavo da casa sua. Rimaneva lì, finché non scomparivo dalla sua vista. Lo so, perché mi giravo per vedere se ogni volta assolveva al rito del saluto senza fine alla nipote. Un groppaccio alla gola mi è salito mentre mentalmente cantavo vincerò, vincerò, vince-rò. Perché la nonna è morta due anni fa, al posto suo, ci abita una nuova famiglia, al posto suo alla finestra, la bandiera che va di moda affiggere di questi tempi da rosario #andràtuttobene con l’arcobaleno dritto. Aperta parentesi. A me una carissima amica ipovedente mi ha insegnato a rovesciarlo… l’arcobaleno… perché così in cielo appare un sorriso…chiusa parentesi. La Rosa e vincerò nello stesso istante? Una lacrima e una vittoria imposta al mio cervello rettile attraverso il limbico? Dai che diventa inconscio il pensiero della vittoria! Tiro fuori dalla borsa il cappello rosa e do il via a un nuovo ciclo di pensieri.
Aristotele. Ethos. La credibilità. Decide se fidarsi o meno di te. Cervello rettile.
Pathos. L’emozione. Divertimento e batticuore. Il collante per fissare ciò che si apprende. L’obiettivo diventa esperienza. Cervello limbico.
Logos. Ragionamento. Attività voluta razionalmente. Recepimento di informazioni. Cervello rettile. Il cappello rosa mi riporta all’attività legata alla comunicazione persuasiva. Autopersuasione. Autostima e diventare la versione migliore di noi stessi. E’ una cosa da campioni e io non mi sento un campione, è una cosa da super eroi e io sono ancora solo un eroe. Il cappello rosa però mi ha ricordato che tutto tornerà non come prima, che sarà diverso almeno per me. Che avrò capito cose, sentito altre, evitato di.. e soprattutto avrò imparato a mettere i cappelli per regolare i pensieri. Avrò cambiato abito mentale.
Leone in gabbia. Cappello rosa? Oggi ci sta. La nonna Rosa, Pavarotti e vincerò… insomma un colore romantico, pastello, acquarellato, gli impressionisti, Monet, le ninfee… il cappello rosa non poteva essere strumento migliore per trattenere i ruggiti del leone in gabbia. In questa detenzione forzata, col cappello rosa ho imparato il coraggio di sostenere le mie convinzioni, di dire quello che penso e di dirlo bene. Ho respirato la libertà di sentire e di vedere ciò che è qui, di provare ciò che si prova. Uso metafore perché mi piacciono da morire, per aumentare l’empatia e accrescere l’emozione generata. Parlare bene non significa comunicare bene. Saper rendere comune ovvero comunicare bene, significa imparare a usare parole magiche che sappiano persuadere. Ma se una buona comunicazione non è avvolta dalla capacità di creare emozioni in chi ascolta, poco riuscirà a restare del messaggio che si intendeva lanciare.
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