Asfodelo e il cappello di paglia
Asfodelo. Chi guarda all’esterno sogna, chi guarda all’interno si risveglia. Cosa avrà mai voluto dirmi il vecchio professore mago, senza cappello in testa, senza bacchetta di legno di agrifoglio, con la sua voce molto baritonale e lo sguardo indagatore?
C’è una grande differenza tra sognare e risvegliarsi. A meno che non si faccia a occhi aperti, sognare è un’attività attribuita allo stato di non veglia. Risvegliarsi indica non il passaggio da uno stato di sonno a quello di veglia, ma fa riferimento a una ri-nascita.
Da giorni sondo nel fondale del mio io e non è che ci trovo un gran che da fare. Mi manca molto il mio rifugiarmi nel bello dell’arte. Soffro di anoressia di immaginazione, di mancanza di serotonina, quell’ormone che predispone al buon umore e alla gioia.
Così, senza capire perché, ma facendolo solo per regalarmi un momento di libertà senza vincoli di razionalità, costume, cultura, posizione da preservare, ho richiamato il mio io essenziale, quello che non vogliamo far vedere a nessuno, quello sommerso da una coltre di cenere di anni di indifferenza da parte nostra e gli ho chiesto udienza. Ho avvisato il mio io intermedio, quello che di noi non vogliamo far vedere agli altri, di togliersi il mantello dell’invisibilità. Infine, ho parlato all’io di superfice, quello che recita una parte a seconda delle circostanze, quello che finge di essere, quello che recita di fronte agli altri, di tacersi per un bel po’. E ho trovato Asfodelo!
Gli ho chiesto di mettersi il cappello come me. Il suo era un berretto instabile nero, il mio invece era un cappello di paglia, quello che il contadino mette in testa agli spaventa passeri che tengono lontani gli uccelli predatori dai suoi campi.
Venerdì Santo. Pronti per lo spettacolo, in piedi nel mezzo di un pezzo di notte, con una luna in apogeo, grande più del mio viso, che sembrava muoversi, io e Asfodelo sul piano domestico, contempliamo la sera.
Intorno un silenzio lacerante per quell’ora presta della sera. La punta del campanile a vela della parrocchiale, illuminato nell’antro che ospita le campane, imponeva la sua luminosità nuova nel buio circostante, tanto da renderne sospesa la parte superiore. Con il colle dietro, nero come la pece, la sua sospensione immobile, mi ha fatto trattenere il fiato. Era come se il campanile fosse appeso al mio respiro e al mio prossimo espiro, sarebbe caduto.
Venerdì Santo, senza processione, senza i lumini nei davanzali per la via crucis. Il passaggio, sia laico che religioso è stato silente e senza luce come la morte. Niente avrebbe potuto esprimere meglio di quell’atmosfera sospesa, il significato religioso della ricorrenza.
Eppure sono anni che fuori da casa mia, ritrovo quell’immagine. Eppure non avevo mai notato il campanile sospeso nel buio, come una grande lanterna sorretta dal cielo, quell’inquadratura della sospensione estrema nell’ora della preghiera per la morte di Cristo, sacrificato per salvare l’uomo. Quell’uomo bulimico di rapine e anoressico di immaginazione, che sa guardare solo all’esterno per sognare e che rifiuta l’introspezione per risvegliarsi.
Così, do una pacca sulla spalla ad Asfodelo che non si gira nemmeno, incantato da quella magia che non l’aveva fatta lui, ma che gli avevo proposto io. -Senti tu, ci scriviamo una poesia su questa foto? Che ci fate lì, campane in lutto per il venerdì di Pasqua? Che avete fatto alla luce? Muovete le sospensioni galleggianti parcheggiate sul fondo dell’abisso che dopo oltre un mese di arresti domiciliari, ha cominciato a bollire come nel calderone gorgogliante di qualche incantesimo, riportando a galla un bel po’ di macerie che aspettano di essere definitivamente scartate-.
E quel nero che ricorda lo sfondo dei quadri di Caravaggio e il mantello che Pilato poggiò sulle spalle del Cristo insieme alla corona di spine per proclamare davanti alla folla inneggiante la sua crocifissione, il re dei Giudei, si faceva sempre più scena per un dramma raccontato…
-Sai vecchio, da piccola e anche poi da giovane, quando ero chiamata alla liturgia del venerdì santo, ho sempre sperato dentro di me che il sacerdote pronunciasse che Cristo era sopravvissuto! Niente cielo oscurato, niente notte in pieno giorno, niente donne che piangono sotto la croce. Niente di tutto quello che ci hanno tramandato. “Cristo non spirò”. Mi dicevo: questa volta ti salvi Gesù, in barba a tutta l’umanità! Vero che poi c’era la resurrezione, un dogma troppo grande per me piccola. Risorto o no, Cristo per me era un grande e meraviglioso uomo che è morto a 33 anni, troppo giovane per finire di fare il profeta. Punto. Non ridere Asfodelo, io vado fiera di questa fervida immaginazione condita di una speranza che in questo momento è meglio ripescare e ritrovare-.
Ero affascinata da quel rito. Mi facevo il mio bellissimo film con finale a sorpresa: Gesù non è spirato, sarebbe sceso dalla croce e avrebbe cambiato la storia. La sua mamma era felice insieme alla Maddalena dai capelli di vento. Niente lacrime, niente dolore. Solo una grande gioia. Niente estrema unzione, niente incenso, niente fiori per il funerale. Solo una grande e nuova speranza.