Penso col cappello indaco
Penso col cappello indaco (Foto di Arcangelo Piai)
I pensieri sono cose. In questo periodostrano ho avuto la conferma che il nostro pensiero va osservato e monitorato con molta attenzione. Va organizzato in progetti e infine i progetti e le idee vanno trasformati in realtà. In sintesi tutto ciò che vogliamo fare e come lo vogliamo realizzare, nasce dalla nostra immaginazione. Ecco perché i pensieri sono cose e hanno un potere poderoso (nel bene e nel male) sul governo della nostra vita. Insomma, il successo dipende da ciò che pensiamo, perché siamo quello che pensiamo.
Con questa premessa ho voluto precisare, qualora non fosse chiaro, il perché io abbia deciso di indossare cappelli di colore diverso, ogni qualvolta non riesco a governare i miei pensieri.
Passa una notizia con la conta quotidiana dell’emergenza;
pensiero ricorrente: “voglio andare via…”;
metto il naso fuori e vedo le maschereconiguanti aggirarsi per strada o come stornelli avvicinarsi alla porta delle botteghe, spiare dentro per poi allontanarsi e riprendere le distanze di sicurezza. Quando sarà finita?
Cose stranissime accadono e io mi infilo il cappello indaco, per entrare in una dimensione diversa, per continuare a mettermi cappelli diversi, per controllare l’inquietudine, per tenere lontana la paura. Se sgarro poi, la mia amica che lavora sul corpo eterico (in sintesi è tanto avanti…), che medita per sé e per tutti noi, che sicuramente vede la sua luce interiore, mi tira le orecchie.
Nel mio cammino evolutivo di ricerca, sono allo studio della mente e di come questa possa influenzare il nostro destino. Sul resto ci credo, perché le do ragione. Ci stiamo sbattendo per la stessa identica finalità: il bene nostro, quello del prossimo e quello generale, nella ricerca di diventare la migliore versione di noi.
Il cappello indaco. Siamo noi i padroni dei nostri pensieri. Solo a noi spetta cosa regalare alla nostra mente. I miei cappelli per pensare sono morbidi, senza la rigidità che è l’unico vero tratto distintivo della stupidità. E tanto più questi pensieri saranno lontani dalla malinconia, tanto più i nostri atteggiamenti si riveleranno forieri di tranquillità. I cappelli per pensare servono a rafforzare l’intenzione di voler governare i nostri pensieri. Non è che dobbiamo diventare tutti dei pensatori. E’ una capacità operativa. Se penso, produco idee che posso trasformare in progetti e in cose da fare.
Sapete, io sto provando con tutte le mie forze a trovare il modo per avvolgervi mentre scrivo, di lambirvi con le mie parole, di emozionarvi e farvi apprezzare ciò che siete e che avete dentro di voi. So bene che non è facile, che le regole Zen sono semplici da scrivere, ma difficili da attuare.
Per questo ho inventato la storia dei cappelli, perché i cappelli trasformano l’intenzione in attuazione. Avevo bisogno di uno espediente tangibile. I cappelli appunto.
In questo tempostrano mi sono accorta di quanto sia semplice apprendere e farsi trascinare dal cambiamento. Cambiamento anche interiore, parola che nelle logiche dei più, provoca tanto prurito. Una cara amica l’altro giorno al telefono, dopo avermi mandato la foto della sua nuova casa (ha rilevato la magione di famiglia dove sono nati i suoi nonni, il padre e lei stessa) che sta ristrutturando pian piano, mi ha detto che vivere lì, era sempre stato il suo sogno, ma quando ha iniziato ad abitarci, ha provato una gioia più grande di quella che avevo sognato. La realtà ha superato l’immaginazione del sogno. E i sogni si avverano se i nostri sono desideri ardenti, se ci battiamo a pensare che tutto di noi deve andare nella direzione del sogno! E se riusciamo in questo, senza mai mollare, senza dire alla terza caduta: “non ce la posso fare”, ma rialzandoci sempre ben disciplinati a raggiungere l’obiettivo, otterremo ciò che vogliamo. Ricordiamoci che sono proprio le cadute e le risalite a renderci migliori.
Periclitante. Mi imbatto in un aggettivo poco conosciuto. C’è più che mai bisogno in questo momento di non tornare sempre sugli stessi termini. Mi è circolato intorno e per l’appunto pensavo che c’entrasse con “l’andare intorno”. Invece c’entra col pericolo… Infatti vuol dire “essere in pericolo” (dal verbo latino periclitari, correre grave pericolo). Io ho pensato a perigeo, perielio… Perché istintivamente ho evitato anche solo di avvicinarmi a una parola ‘pericolosa’ di questi tempi? Perché mi sono messa il cappello indaco.
Provo a raccontarvi che se certe cose dobbiamo dircele solo tra persone che in qualche modo o da qualche parte stanno intraprendendo un percorso di evoluzione e di crescita personale, le cose non si modificheranno gran che. Io non la vedo ancora la mia luce interiore. Di questi tempi poi… però è commovente pensare che ci sta una luce nuova da qualche parte dentro di noi, che ci parla e ci racconta nuove verità.
C’è che è difficile disarcionare ciò che è diventato a noi familiare, consono, usuale… dobbiamo cambiare il nostro abito mentale se vogliamo andare lontano.
Cinestesico. In PNL (programmazione neurolinguistica) gli esseri umani nel ricevere e nel rendere il messaggio comunicativo, sono suddivisi in tre macro categorie: visivi, uditivi, cinestesici. I visivi sono coloro cui i messaggi arrivano se la comunicazione è fatta attraverso immagini (slides, video, foto, racconti di visioni ecc); gli uditivi hanno bisogno per recepire un messaggio, di ascoltare una bella voce, di avere della musica di sottofondo, eccetera; i cinestesici necessitano della materia tangibile per recepire il messaggio. Da ciò, bisogna fornire loro il progetto su carta o il manuale cartaceo o il blocco su cui scrivere. Hanno bisogno del contatto, di toccare le cose. Di questi tempi sono la categoria che sta soffrendo di più. Niente strette di mani, niente pacche sulla spalla, niente abbracci… A tal proposito sono andata a cercare un frase di Virginia Satir che non ricordavo a memoria, il cui significato però è assai più ampio… è tratta dalla poesia Quello a cui miro. “Voglio amare senza stringere, valutare senza giudicare, unirmi a te senza invadere, invitarti senza pretendere”… Valida ora, ma facciamola nostra sempre.