Coreografie col cappello blu
Operosità. Potatura degli alberi invasivi sul marciapiede. Potatura dell’ulivo e dell’alloro di casa. Cinque residenti del quartiere San Lorenzo all’opera. All’aria aperta, a debita distanza, qualcuno con le mascherine. Gli altri vicini in casa che spiano dalla finestra. Anche questo giorno è volato via come i passeri e i pettirossi che frequentano il mio praticello per cibarsi delle briciole di pane raffermo, quando mi avvicino alla portafinestra della cucina.
Silenzio. Niente rumore di motori in giro, solo il Defender della protezione civile che passa col megafono, intimando di stare in casa. Nemmeno le voci dei ciclisti. Un aereo? Niente. Nessun passante. E sono le 16.00 di sabato. Non c’è proprio nessuno in giro. Tutti in casa, tranne noi potatoridipiante. Le nostre voci allegre si spandono nell’aria fresca di un pomeriggio grigio che minaccia pioggia, ma è solo una sfida, perché finiamo prima che piova.
Oggi è un sabato che non è sabato. Non sembra nemmeno un altro giorno della settimana. E’ semplicemente un giorno in cui tutti i rumori sono spenti. Se proviamo ad ascoltare quelli delle cose, dei libri che stanno sopra la scrivania, riusciamo a immaginare il fruscio lieve dello scorrere del tempo. Se ascoltiamo l’ora, non si sente proprio niente.
Fragore. E’ tempo di migrare dal silenzio esterno e di provare ad ascoltare una voce che muta, giace in qualche angolo del nostro corpo. Oggi indosso il cappello blu, quello delle coreografie che però mi crea un cerchio alla testa, perché ci sono cose che accadono e che vorresti tanto potessero restare ai margini. Tolgoemetto tolgoemetto soltanto perché devo scrivere. Vorrei mettermi il cappello verde per raccogliere l’oro che ci troviamo tra le mani, vorrei mettere il cappello giallo per aprire le porte ai “creatori di luce” e parlare con loro, vorrei mettere il cappello bianco, quello del nonpenso dunque nonsono, quello del “creiamo ciò che diciamo”, quello neutro di sospensione del giudizio. Oggi però devo scrivere del cappello blu, non c’è verso anche se cementa i pensieri fuori dal qui e ora. Troppo forte il rumore della mia mente in questo momento. Sento delle grida. Il cappello blu è quello che decide che cappello dobbiamo indossare, quello preposto alla pianificazione dei pensieri. Allora (e con un gesto estremo mi ficco il cappello ben sopra la fronte), suggerisci o no? Distacco, controllo, freddezza. Detti le istruzioni o no?
Coreografia. Blocchiamo il flusso libero dei pensieri che urtano le sponde del fiume come barche a motore impazzite e mettiamo le cose in fila. Impostiamo i passi del pensiero come la coreografia di un balletto. Cambiamo aria, non facciamo procedere a vuoto i pensieri, con reazioni immediate a quello che accade momento per momento. Esploriamo l’esperienza. Siamo persone intelligenti, con un bagaglio di informazioni importante. Non è che possiamo trovare un fronte evolutivo che possa superare la volontà di fare male anche in questi tempi strani?
Difese. Non so voi, ma io pensavo che la vita in questo tempostrano, mi concedesse una tregua agli attacchi delle perverse dinamiche sociali che richiedono un sacco di energie per evitare che si sedimentino sulla bocca dello stomaco, lasciando spazio al macigno pesante che preme in basso fino alle viscere. Le cause passate per via evolutiva, creano effetti inaspettati che non hanno analogia con il presente.
Messa a fuoco. Una telefonata che evidenzia uno stato sfavorevole al nostro benessere, che riporta in vita cose del passato e del presente molto scomode, non può, non deve farci perdere il focus. C’è differenza tra un buon pensatore e un cattivo pensatore: la difficoltà di mettere a fuoco un problema. Il buon pensatore sa distinguere e scegliere l’oggetto buono del pensiero.
Benedico te. Ecco il software personalizzato per questo tipo di situazione. Complicatissimo, poco intuitivo, ma è l’unico che io possa attivare oggi per tronare a sorridere delle mie mani indolenzite con i calli a forza di sminuzzare rami, di segare quelli più grossi per fare legna da ardere, dei giri con le cariole piene di sfalci scaricate vicino al cimitero, del profumo che si sta diffondendo in casa per la cheesecake infornata, della piccola legnaia che ospita i tronchetti nuovi, del piacere di aver parlato a toni alti per farci capire tra lavoranti che mantenevano le distanze di sicurezza dei tempistrani, delle risate per le istruzioni del buon Toni che indicava al mio figliolo quali rami potare dell’ulivo.
Tradizioni. Fammi povero che ti farò ricco… questo è il detto dei contadini euganei quando si tratta di potare gli ulivi. Più lo sfoltisci, più olive farà, più olio si produrrà. A pensare col cappello blu, in questo tempo di focolari domestici forzati, di riscoperta delle regole di buon vicinato, saremo forse più poveri di contatti, di stimoli esterni, di connessioni umane… ma i frutti che raccoglieremo dopo saranno sicuramente nuovi e molto abbondanti.
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