Silvia Veronese ComVnica
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Silvia Veronese ComVnica

C’è da riaccendere il tasto verde ‘umanità’

IL RICHIAMO DEL COACH
C’è da riaccendere il tasto verde ‘umanità’
Come sono cambiate le aziende con la pandemia? In meglio o in peggio? Quale sarà la normalità post covid? Nicola Zema, interventionist coach è convinto che la chiave di volta va cercata nella leadership: grandi competenze tecniche senza la giusta dose di umanità e di capacità di relazione, non portano un’azienda al successo.

Aziende in crisi, che si lamentano, che posticipano il processo innovativo sotto l’egida “tutta colpa del covid”. Dirigenti che faticano a rafforzare la loro ‘barca’ per traghettare il popolo al di là del Flegentonte. Lavoratori che rinunciano ad agire per ‘contrapassare’ l’incertezza del momento, persone che sembrano aspettare solo il prossimo bollettino di guerra e il nuovo DGPR sulle restrizioni anticontagio e si nascondono dietro la vana rassegnazione all’attesa del prossimo lookdown.
E’ questa l’aria che si respira in giro, una scellerata forma di piacere nell’imputare all’apatia, al bisogno del sussidio, al lamento, l’unico atteggiamento che sia consentito in questa sventura.  Sembra di stare in una grande palude Stigia (per continuare con le memorie dantesche) in cui non vi sono immersi gli iracondi, bensì gli ignavi destinati a inseguire un vessillo… C’è bisogno di una decisa ‘spettinata’, perché è proprio la determinazione che manca e la giusta “alleanza di cervelli”, così tanto invocata dal buon Napoleon Hill.

Nicola Zema, è proprio così?
Sì, è così per alcune aziende che forse non aspettavano altro che l’occasione per posticipare consulenze e attività di formazione, solo perché non le reputano interessanti e strategiche. Non è così per un’altra categoria di aziende che invece non vedevano l’ora che le aule tornassero a riempirsi per poter attingere a idee, suggestioni, ispirazione da parte di chi ha qualcosa ancora da raccontare, da suggerire a titolari e dipendenti.

Il covid ha creato una sorta di spaccatura parzialmente incolmabile tra aziende che hanno fallito nel pianificare la loro formazione, quindi hanno sostanzialmente pianificato di fallire e aziende che hanno avuto il tempo di riflettere e organizzare la loro evoluzione.

L’uso dello strumento “video conferenze”, lo smart working, i webinar eccetera, sono processi che la pandemia ha accelerato?
Sì, se parliamo di smart working e tutto quello che gli va agganciato. Dico una cosa abbastanza popolare, perché nel mondo lo smart working funziona da decenni. Noi forse non siamo abbastanza abituati, quindi il rischio è che rimanendo a casa a lavorare, per quanto si cerchi di disciplinarci, ci si faccia prendere da quella che è la quotidianità e da geniali procrastinatori quali siamo, cadere nell’errore del “lo faccio dopo”. Persino io che ho l’ufficio a casa, separato solo da una porta dalla vita familiare, ho dovuto disciplinarmi molto duramente per non farmi dominare dal ‘cuore’.
Lo smart working ci permette di lavorare in condizione di “focalizzazione rilassata”, ma contiene un contraltare terribile: o si impara a fare i piccoli imprenditori di se stessi, che pianificano, che gestiscono le risorse in maniera totalmente diversa da come si faceva in ufficio o si fallisce. Purtroppo non tutti sono in grado di farlo, perché nessuno ce lo ha insegnato, dobbiamo improvvisare e non sempre l’improvvisazione paga.

L’evoluzione che hanno innescato questi processi, era necessaria?
Necessaria nella misura in cui si va ad abbattere distanze, a risparmiare nei costi, perché un webinar o una conference o una riunione virtuale, ci consentono di essere più strutturati nella pianificazione  dell’ordine del giorno… e tutto si ‘asciuga’. Il problema enorme è che però si essicca anche il “bagno di folla”, il contatto umano. La situazione asettica di questi strumenti, interrompe quell’intelligenza superiore che si sviluppa quando tre o più esseri umani sono seduti intorno a un tavolo, esprimono il loro parere, si toccano, si guardano e creano alchimie che purtroppo l’online spegne. Ben venga dunque, “faccio di necessità virtù”, perché in questo momento limitiamo il contagio, ma spero che presto si possa limitare al minimo questo tipo di attività.

Torneremo ad affollare i teatri?
Obbligatoriamente sì, è una mia speranza, ma anche una mia certezza, perché quello che manca oggi è l’interazione, non solo verbale, ma anche e soprattutto quella non verbale tra docente e partecipanti, tra persone di un team. Torno a parlare di quella famosa alchimia che si crea quando siamo vicini. Siamo esseri umani, siamo esseri sociali e abbiamo bisogno del contatto che crea idee, suggestioni, stimoli.

Che normalità ci dobbiamo aspettare dopo il covid?
Ci vorrà molto per approdare a una nuova normalità. Indipendentemente dal quanto durerà l’emergenza. Credo che alcune consapevolezze rimarranno. Saremo sempre un po’ diffidenti nei confronti degli altri.  I contatti non torneranno ad essere come prima e qualcuno rimarrà ancora ancorato alla distanza, alla teleconferenza, perché un anno trascorso condizionati da queste abitudini, ci ha resi sterili e ha dato la possibilità a chi non è capace di gestire le relazioni umane, di perseverare nell’impersonalità.
Sì, torneremo a una nuova normalità. Perché siamo fatti così, siamo esseri umani. Faccio una fatica enorme a generare empatia (che è il viatico per creare una relazione) quando una persona è distante dal mio muso solo 20 centimetri, ma in realtà non è davanti a me fisicamente. Non posso avere il feedback “non verbale”. Questo è un enorme problema: La qualità della comunicazione è il feedback che ne ricevo. Nella comunicazione online manca completamente la possibilità di validare questo assioma. Serve il coinvolgimento emotivo per aiutare le persone a trasformarsi nel modo migliore. Occorre agire sulle emozioni, non sul cervello.

Qual è l’errore che non devono fare oggi le aziende?
Quello che ripeto sempre a tutti, che mi fa passare per visionario: non smettere mai di cercare quel tasto verde che tutte le persone hanno collocato da qualche parte, con su scritto ‘umanità’. Ci hanno sempre detto che un capo, un collega eccellenti, sono un capo, un collega competenti. Di un capo o di un collega competenti non me ne faccio nulla, se il suo livello di umanità, di capacità di creare e gestire l’azione, il suo livello di comunicazione, non sono tali da poter insegnare queste competenze a chi sta dietro di lui.
Non mi stancherò mai di dire che il valore e la qualità di un’azienda, dipendono dalla capacità di trovare al suo interno un leader da affiancare al leader esistente. Se ciò non accade si è destinati al fallimento non economico, ma spirituale ed etico.
Servono competenze tecniche senza le quali non si può fare nulla, ma altrettanto sono indispensabili quelle doti di umanità, di relazione che ci consentono di condividere tra gli elementi di una squadra, queste competenze per far sì che tutti diventino più forti.

Nicola Zema, da 25 anni a servizio delle aziende grandi e piccole come coach, consulente, formatore e ora anche docente della YVC Academy, ente di certificazione in coanching.

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